La tentazione di Sant’Antonio Abate , 1946 Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts.

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Salvador Dalì, La tentazione di sant’Antonio, 1946
olio su tela,   cm 89,7 x  119,5  – Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts

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In seguito alle esplosioni della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki nel 1945, Dalí diede inizio a nuove ricerche esistenziali e artistiche, passando dalle suggestioni della psicanalisi a quelle della fisica nucleare trasformata in un misticismo paranoico-critico, come racconta egli stesso nel suo saggio sulla spiritualità Manifesto mistico del 1951. Da questo momento in poi, infatti, egli rivolse la sua arte verso una maggiore riconoscibilità delle forme, ispirandosi prevalentemente all’iconografia religiosa occidentale.

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Quest’opera, dipinta a New York, risente appunto, di questo mutamento culturale; fu presentata al concorso indetto da Albert Levin – e vinto poi da Max Ernst – per la realizzazione dell’unica scena a colori del suo film sul soggetto Bel Ami di Guy de Maupassant. Nel quadro la tentazione appare a sant’Antonio in forma di un cavallo che s’impenna, simbolo del potere e della lussuria, e in forma di alcuni elefanti che portano sulla groppa diversi elementi dall’evidente connotazione erotica: una donna nuda e voluttuosa su un piedistallo, un obelisco romano ispirato al Bernini, alcune strutture architettoniche palladiane e, infine, una torre dal simbolismo indubbiamente fallico. La particolarità affascinante di questi animali giganti, che dovrebbero rappresentare gli spiriti maligni che provocano il santo eremita nel deserto, è la deformazione allungata e sottilissima delle zampe, che permette loro di entrare in una dimensione di tramite tra la terra e il cielo, tra realtà e spiritualità. (da Babele arte)