Tesi Novoli sullorigine di Santa Maria de Novis

Liceo Scientifico “De Giorgi” Lecce XI GIORNATA FAI DI PRIMAVERA Chiara Invidia Storia del feudo di S.Maria de Novis Sul palazzo baronale, ducale o impropriamente detto castello non esistono studi ben precisi sulle maestranze sulla storia, ecc… Per poter avere un’idea della sua storia occorre soffermarci sui feudatari del paese che anticamente prendeva il nome di S.Maria de Novis, strana denominazione sulla quale sono state fatte ipotesi varie ma senza alcun riscontro oggettivo. Il primo documento che attesta l’esistenza del casale di S. Maria de Novis risale al 1272, data da cui partono tutte le altre documentazioni su S.Maria de Novis e il vicino feudo di Nubilo, l’attuale Villa Convento. Fino al 1520 il casale di S.Maria de Novis è stata possesso di numerosi feudatari, tra i quali si nominano i Brenne, i Capece, i Maramonte, e altri. Dal 1520 parte la documentazione storica che individua in tale anno, esattamente il 26 Giugno, l’acquisto da parte di Paolo Mattei, dottore di leggi, di metà del feudo di S.Maria de Novis e dell’altra metà da parte di Vittorio Prioli, genero del Mattei in quanto marito della figlia Caterinella. Il feudo facente parte della baronia di Campi, di proprietà dei Maramonte, era stato messo in vendita dalla Regia Corte, su richiesta di Cesaria Maramonte, per la morte senza eredi del barone Giovanni. L’intero feudo venne a costare 6850 ducati, pagati al viceré Raimondo di Cordoba. Nel 1523 Paolo acquista anche il disabitato feudo di Nubilo o Novule, vendutogli da Aurelia di Acaia, moglie di Giovanni Maria Guarino. Nella seconda metà del ‘500 i Mattei comprarono anche l’altra metà del feudo da Donato Maria Prioli. La vendita del 1520 segnò l’inizio della lunga successione feudale della famiglia Mattei che si protrae fino ai primi del 700,quando avviene il passaggio alla famiglia dei Carignani. La famiglia Mattei A Paolo succedono Filippo I, Alessandro I, Filippo II, Alessandro II,Giuseppe Antonio, Paolo Bonaventura Mattei fino ad AlessandroIII, l’ultimo dei Mattei in quanto non lasciando eredi legittimi il feudo passa alla famiglia dei Carignani. Filippo I fonda il monastero di S.Maria delle Grazie a Villa Convento con l’annessa chiesetta di S.Onofrio, il quale portale (con lo stemma di famiglia)è stato attribuito alle maestranze del Riccardi (grande architetto di notevole fama), e erige la chiesetta cosiddetta “Nuova”, in via Libertini a Lecce, all’interno della quale si ritrovano le insegne dei Mattei. Filippo II (1570-1580) fa costruire la chiesa di S.Oronzo, a pianta ottagonale, un vero e proprio gioiello che riproduce in maniera speculare l’abside della chiesa di S.Croce in Lecce, probabilmente perchè opera delle maestranze del Riccardi. Alessandro II fu un importante umanista e mecenate. Ospitò nel palazzo baronale il filosofo e medico di Leverano Girolamo Marciano il quale scrisse l’opera “Descrizione, Origini e Successi di Terra d’Otranto”. In quest’opera, che fu pubblicata nell’800, il Marciano dice chiaramente di essersi servito della biblioteca di Alessandro Mattei “ricchissima di tanti libri che non ha pari nella provincia” per completare la sua stessa “Descrizione”. Recentemente, sono state rintracciate in maniera occasionale presso la Biblioteca Innocenziana di Lecce, 23 cinquecentine sui cui frontespizi è annotato l’ex libris di Alessandro Mattei II. Alessandro II era amico dei gesuiti e di Bernardino Realino,spesso ospite della famiglia Mattei, indicato da una leggenda come il fondatore del pozzo, in seguito scomparso, di fronte al palazzo. Al tempo vive un gesuita novolese,Francesco Guerrieri, persona straordinaria, eruditissimo, che è in contatto epistolare con Torquato Tasso, Galilei, ecc.. di cui si ha documentazione.Prove scritte ci sono anche della corrispondenza tra la famiglia Mattei e San Bernardino Realino. Altra figura enigmatica ma importante è il contemporaneo Frate Lorenzo, autore di un importante carta geografica di terra d’Otranto andata perduta, di cui è attestata l’esistenza in un libro che riporta l’opera del Galateo e in documenti della Biblioteca Vaticana. Ad Alessandro III succedono i Carignani che posseggono di il feudo fino alla fine del Settecento,quando viene abolita la feudalità. Il palazzo baronale Il castello fu sicuramente fatto costruire da Paolo Mattei in seguito all’acquisizione del feudo nel 1520. Il primo documento che attesta l’esistenza di tale edificio è datato 1533, data in cui Filippo Mattei, denunciando la morte del fratello Paolo, paga il rilievo, cioè la tassa per il possesso di un castello vigente all’epoca. Da un documento datato 1844,dell’Archivio di Stato di Lecce,abbiamo un’idea della struttura del palazzo. Esso constava di un pianterreno con magazzini per il deposito di oli e vini e altri ambienti come il carcere e le scuderie, e dal Piano Nobile composto da: 1) Sala e Cappella 2) Quarto Grande: sala da pranzo, stanza di compagnia, stanza dell’organo, stanza di letto del padiglione, stanza dell’uccelliera; 3) quarto piccolo: sala, stanza da letto, camera di riporto, cucina, 4) quarto dell’agente: stanza, stanza di ricevimento, sala da pranzo, stanza da letto, avanti cucina, cucina. Nel 1888 Cosimo De Giorgi pubblica un opera fondamentale, “La provincia di Lecce bozzetti di viaggio”!, nella quale si ha una descrizione storica e monumentale di tutti i comuni della provincia salentina. Riguardo al palazzo ducale novolese dice essere occupato in parte dai Carabinieri e in parte dalle scuole comunali. I sotterranei cono stati convertiti in frantoi dai Signori Plantera, i possessori dell’epoca. Elogia i Mattei i quali, testualmente “hanno sempre cercato il decoro e il lustro di questa comunità”; aggiunge poi informazioni sulla struttura del paese di quel tempo. Dal castello all’attuale zona cimitero si estendeva una zona boscosa, terreno di caccia dei Mattei, nel quale ha sede la Masseria della Corte o Baronale, all’interno del quale è un trappeto cinquecentesco, detto “alla calabrese”, scavato nella roccia. Tale masseria conserva parte della torre oltre al trappeto. Il De Giorgi parla della Villa e denomina la precedente zona “Parco Reale” nel quale ha luogo una sorgente di acqua limpidissima. Nel 1707 la masseria della Corte e il palazzo vengono infatti descritti in un “apprezzo” dell’epoca, documento nel quale veniva registrato tutto ciò che vi era nel feudo, fatto dal “Tavolario” Donato Gallarano. Altro documento importante è la Perizia di Stima del Palazzo Ducale, risalente al 1914, all’epoca di proprietà della contessa Isabella Paladini, vedova di Costantino Castriota Slandemberg. Tale perizia è fatta dall’ingegnere Francesco Parlangeli che parla di un giardino grande, un giardinetto con agrumi, un piano composto da 37 vani. Il piano inferiore era adibito a locali, botteghe, magazzini e un trappeto, quello superiore a caserma e scuola. All’epoca le strade alle spalle del palazzo non erano aperte ma facevano parte dell’interno. Degno di nota all’interno del castello sono rimasti agli angoli di una sala, alcuni stemmi di famiglie che hanno soggiornato: Della Torre, Pepoli e Malvezzi. Il quarto è andato perduto. Nello stemma del palazzo cosiddetto della “Cavallerizza” in via Umberto I si richiamano gli stemmi dei Carignani, degli Alfarano-Capece, dei Della Torre e dei Mattei, che si ritrovano nella chiesa di S.Maria degli Angeli a Lecce. La fontana fu descritta per la prima volta nel citato apprezzo del 1707 eseguito dal “regio tavolario” Donato Gallerano” che recita: “…in testa al cortile (del palazzo baronale) a sinistra di detta loggia (è la “loggia grande e scoverta” che copriva il “magazzeno di sotto”) vi è una fontana con tre volte d’archi, frontespizio sopra con iscrizione, due statuette alli lati, uccello e drago. In mezzo vi è fonte sostenuta da delfino con pomi e fonte sotto di fabbrica”. Uno schema architettonico del genere, ossia una struttura “a giorno” a tre fornici, è di provenienza chiaramente napoletana. La ricostruzione in uno studio di Gilberto Spagnolo e di Mario Cazzato della quasi illeggibile iscrizione recita: DEO XENIO/NON MAGNITUDINI AUT/DOMINATIONI/SED/SOLATIO ET OCIO/ALEXANDER MATTEI/AEDES SUAS/XYSTO ET FONTE EXCOLUIT/A.MDCC. “Al Dio dell’ospitalità Alessandro Mattei non per desiderio di grandezza e di potere ma per conforto e agio ornò la sua dimora con la terrazza e la fontana nell’anno 1700.” Tale fontana è fatta erigere da Alessandro III, dedicata al Dio dell’ospitalità, cosa che conferma le virtù mecenatiche della famiglia Mattei. Alcuni Nomi illustri di Novoli: • Alessandro Mattei II • Francesco Guerrieri • Frate Lorenzo • Benedetto Mazzotta • Nicola Mazzotta • Pasquale Andrioli • Pasquale Francioso • Fratelli Guerrieri • Oronzo Parlangeli, grottologo di fama internazionale, concittadino novolese, tragicamente morto in un incidente stradale. Chiesa di S. Oronzo All’interno la chiesa ottagonale riprende specularmene la soluzione adottata nell’abside della Chiesa di S. Croce in Lecce, testimonianza dell’azione dell’opera in entrambe del Riccardi. L’elemento ottagonale è tipico del Riccardi. La presenza del monogramma dei gesuiti può essere giustificata dall’amicizia di Filippo II, padre di Alessandro Mattei, con San Bernardino Realino, il quale potrebbe aver fatto personalmente la richiesta di un tempietto dedicato al Salvatore. Infatti alla nascita tale chiesa è dedicata al Salvatore e alla Vergine. Altare è datato 1706 ed è stato fatto costruire da Alessandro III, (l’ultimo dei Mattei). Lo stile è barocco e secondo gli studi del Cazzato si deve alle maestranze del Cino, architetto impegnato nella costruzione della chiesa matrice. Sul muro esterno a sinistra dell’ingresso si intravede una croce, detta “l’orologio te li ntichi” poiché secondo un’antica tradizione è una meridiana, ideata da Frate Lorenzo. Infatti quando l’ombra della lesena del portale taglia nel centro la croce segna il mezzogiorno astronomico di Novoli. La colonna “mozza” sull’arco che sovrasta l’altare è nata così, non è il troncamento di alcuna colonna in quanto durante il rifacimento del pavimento non si è trovato alcun riscontro di un eventuale basamento. Sul muro dietro la chiesa si trovano le tracce di un’iscrizione e di un affresco. Al restauro di tale chiesa ha provveduto una delle Confraternite di Novoli. Attualmente prende il nome di Chiesa di S.Oronzo, in quanto ospita tale santo. Chiesa dell’Immacolata La chiesa dell’Immacolata è la chiesa più antica di Novoli, nonostante la ristrutturazione non renda minimamente l’idea di questo. Tale è l’importanza della suddetta chiesa da aver ricevuto da parte della Sovrintendenza ai beni culturali il riconoscimento di interesse storico -artistico (vincolo di legge del 1939). La chiesetta era in origine una delle tante laure basiliane (gruppo di capanne o di grotte scavate nella roccia ognuna separata dalle altre ma con una chiesa in comune in cui vivevano da anacoreti i monaci bizantini) in tutto il Salento, edificata dai monaci basiliani profughi dall’oriente. Consta di una sola navata coperta a tre campate a crociera. La terza con l’abside, anche se realizzata nei primi del secolo XX, deve essere inclusa nel seguente provvediemento del problema in quanto facente parte di tutto il complesso architettonico. La facciata è caratterizzata da un sobrio portale d’accesso sovrastato da un oculo con cornice e conclusa in alto da un timpano triangolare con cornicione lievemente aggettante. Di pregevole valore l’affresco bizantineggiante della Madonna col Bambino posto al centro dell’abside. Probabilmente perciò le origini di tale chiesa risalgono alla migrazione nel IX secolo nel Salento dei monaci greci che portavano il culto della Vergine Odegitria o Madonna di Costantinopoli. Allo stesso periodo, probabilmente, risale un frammento di affresco, anche questo conservato, raffigurante un angelo e una figura di donna aureolata. Probabilmente è l’Ospitalità di Abramo in quanto richiama il cosiddetto affresco nella chiesa di S. Apollinare a Ravenna. La sua storia è documentata attraverso le visite pastorali. Tra il 1948 e il 1954 la struttura fu profondamente mutata allungando l’unica navata con la demolizione dell’abside. In quella circostanza si fecero scoperte di notevole importanza per la storia di Santa Maria de Nove. Durante questi lavori sul muro ad ovest ove era effigiata in affresco la Madre di Dio, venne alla luce un blocco di conci di tufo, saldamente cementati tra loro di 1,20m x 0,70, che recava da un lato l’affresco visibile dall’interno della chiesa, e dall’altro, verso il giardino, non visibile, un secondo affresco di non facile interpretazione e certamente di più antica data. Dallo stato delle cose apparve subito chiaro che tutto il blocco con i due affreschi era stato segato, intero, da un muro preesistente e inglobato nel fabbrico successivo della Chiesa, salvando alla vista solo la parte che più interessava e cioè l’affresco della Madre di Dio. Inoltre si scoprì il Cimitero ipogeo sempre creduto una fantasia del luogo. Francesco Pellegrino, sacerdote novolese così descrive il ritrovamento dei corpi di alcuni monaci: “Tentammo di far degli scavi, rompendo a sinistra lungo il muro, nel centro della chiesa. Giunti al terzo metro di profondità ecco una sorpresa: si apre un vuoto, un buio isignificante, pauroso. Introducendo una lunga asta con una lluce guardiamo. O Dio, una sala funerea, un vero soccorfeo della Chiesa. V’eran per terra, senza gelosia della cassa, i cadaveri tutti vestiti di un lungo saio e incappucciati. Eran lì l’uno accanto all’altro, senza affastellamento, ma con comodità, messi a giacere, con le mani giunte come se fossero addormentati pregando, “nell’attesa della grande speranza e che venga il nostro Salvatore Gesù”. Riempito il posto disponibile, era stata posta ai loro piedi una fila di mattoni tufacei a secco: quindi un’altra fine di morti come prima, indi i mattoni di tufo e poi altri morti, e poi mattoni fino all’occupazione dei posti disponibili nella Cappella funeraria. Non vi è dubbio che prima della fila da noi scoperta per prima c’erano le altre file morti intervallati parimenti dai mattoni di tufo. Come mai tutti i cadaveri erano vestiti col saio? Tutti monaci? Probabilmente erano comuni fedeli che venivano vestiti col saio.” Gli affreschi si componevano di 3 strati, cosa tipica dei monaci basiliani. Per quanto riguarda l’affresco dell’Odegitria, è bene tener presente che in essa tutto il mondo cristiano riconosce la Madonna di Costantinopoli, il cui culto ha avuto origine da una colossale immagine dipinta da S. Luca, Apostolo, pittore e medico, che per essere stato amico di Gesù dovette conoscere personalmente la madre, Maria di Nazareth, per cui quella immagine può considerarsi un ritratto dal vero della Madonna. Quella immagine fu donata nel 438 dall’Imperatrice Eudossia alla Agusta Pulcheria di Costantinopoli e in questa chiesa fu venerata fino alla caduta dell’Impero Romano d’Oriente. Testimonianza delle origini bizantine di questa antica chiesa. L’apparente crepa sul lato è in realtà il giunto dell’allungamento della navata. Nella zona antistante la chiesa nel martedì dopo pasqua si faceva la fiera della Cuddhrura o della Cuddura (pane), fiera documentata. I resti degli affreschi incorniciati al lato dovevano probabilmente stare ai lati della chiesa e rappresentano storie di monaci. Alcune famiglie avevano la tomba di famiglia nel convento dei domenicani a Villa Convento.