Fontana e Burri, Schifano e Tadini
Pubblicato il 20 maggio 2011 di Francesco Tadini
Gli anni Sessanta: anni di grande fermento e ripresa artistica. Di rinascita… Anni nei quali, come mi raccontava frequentemente mio padre, Emilio Tadini, era normale, per un artista, fare la fame insieme agli altri, confrontarsi, frequentare tutte le gallerie e le inaugurazioni. Al bar Jamaica (tra gli altri tipici luoghi di incontro), nella zona dell’Accademia di Belle Arti, si riuniva una vera “banda” di ragazzi affamati e con le facce intelligenti. Ragazzi che avevano vissuto la guerra, il fascismo, i bombardamenti. Non di rado, qualcuno di loro si presentava con una macchia di unto sulla cravatta per fare colpo su una donna. La macchia era “finta”. Serviva a esibire la possibilità di un pasto abbondante che, nella realtà, non poteva essere stato consumato. Tra i ragazzi c’era anche un certo Dario Fo. Dario teneva sveglia la banda fino alle cinque del mattino. Ci riusciva con le parole e la lingua “sua”. Con i primi vagiti di un figlio “Nobel per la letteratura”: Mistero Buffo. C’era divertimento in quelle nottate: ci pensate? Riflettete a quanta voglia ci sia ancora, sotto. Sotto abiti firmati, sotto telefonini e telefononi, sotto quasi tutto. Penso che ci sia desiderio, sotto, di buttare qualcosa sottosopra. Di percorrere nuovamente quella strada. Di trovare cultura nella solidarietà umana. Intellettuale.