a scoperta di una studiosa tedesca. Finora si pensava Così Gauguin strappò dal nostro inviato ANDREA TARQUINIr |
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Ranverso. Pochi, anzi pochissimi artisti moderni incarnano la simbiosi di genio e follia più di Vincent van Gogh. E l'assurda, cruenta automutilazione che egli si autoinflisse resta un'esemplare leggenda della sua vita di intellettuale maledetto. Il taglio dell'orecchio sinistro, immortalato da non pochi dei suoi autoritratti raccolti quasi tutti nelle grandi sale al primo piano del Van Gogh Museum di Amsterdam. Ma davvero la leggenda – cui Hollywood dedicò un film, che valse un Oscar ad Anthony Quinn – ci tramanda la realtà, davvero il maestro olandese si tagliò l'orecchio da solo? Forse va riscritta la storia di quella fatidica notte del 23 dicembre 1888 ad Arles, l'antica, splendida città provenzale dove Van Gogh si era ritirato da mesi, per dipingere e meditare nel sole della Francia del sud. Nel suo piccolo appartamentino aveva accolto Gauguin: la loro convivenza all'inizio fu una fucina creativa. Van Gogh aveva allora 35 anni, Gauguin 40 e, come accadde a molti dei migliori pittori del periodo, erano degli incompresi senza successo. Vivacchiavano vendendo per pochi soldi tele allora derise e oggi senza prezzo, nelle quotidiane bevute di assenzio e in frequenti visite al miglior bordello della città spendevano tutti i loro scarsi guadagni. La giovane, bellissima "filledejoie" Rachel era la loro prostituta preferita, nei suoi abbracci trovavano entrambi rifugio per le loro depressioni etiliche e le loro voglie. Questo, racconta Rita Wildegans, fu lo sfondo dell'esplosione di collera dei due amicirivali quella sera prima di Natale. I due litigarono in strada, poi nell'appartamento. Il mattino dopo la polizia trovò Van Gogh svenuto a casa in una pozza di sangue. "Era in preda all'ira", raccontò Gauguin nelle sue memorie "Prima e dopo", "mi rincorse per Arles impugnando il rasoio, ma io gli misi soggezione col mio sguardo". Allora se ne andò a casa, si tagliò l'orecchio, poi andò al bordello e lo consegnò a Rachel inorridita, dicendole "abbine cura". Tutto falso, afferma la storica dell'arte: Gauguin non ne poteva più delle angosce maniacali di van Gogh, il quale temeva che l'amico lo abbandonasse lasciandolo solo. Litigarono entrambi ubriachi d'assenzio, vennero alle mani, e Paul recise d'un colpo l'orecchio sinistro di Vincent. Poi fuggì e si nascose in un albergo. L'amico ferito, totalmente ebbro, andò prima al bordello, poi a casa dove svenne. "Spesso sono stato crudele, e non mi pento di nulla", ebbe poi a scrivere Gauguin, che poi si lasciò l'Europa alle spalle e nei mari del Sud dipinse sensuali ragazze tahitiane. Van Gogh invece fu più volte ricoverato in manicomi, e 19 mesi dopo si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola. Più volte, nota Rita Wildegans, confessò nelle sue ultime lettere lo sgomento per la brutalità dell'amico: "Io sono un relitto, ma lui è selvaggio come una belva… è capace di cose cui mai una persona normale giungerebbe". La tesi è assurda, ribatte Douglas Druick, uno dei curatori della mostra "The studio in the south" di Chicago. Crede nell'automutilazione di Vincent, ma su un punto dà ragione alla Wildegans: aveva il terrore che Paul ponesse fine all'avventura della loro convivenza. Per questo, dice Druick, decise di mutilarsi per sentirsi come un martire cristiano. Rilevatore anonimo Vangoghiano(16 luglio 2001) |
DALL'ARCHIVIO Assenzio, il IN RETE
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