Il lavoro dei canonici Antoniani a Ranverso Gli Antoniani erano un ordine di canonici ospedalieri fondato in Francia nel 1095 che si ispirava alla figura di S. Antonio Abate. Tra le loro principali fondazioni assunse particolare importanza in Piemonte la Precettoria di S. Antonio di Ranverso, posta sul percorso della Via Francigena. La giornata degli Antoniani di Ranverso si divideva tra i compiti dell’ospitalità, rivolta soprattutto agli ammalati, e la cura, diretta od indiretta, delle terre. In seguito ad acquisti e donazioni, i possedimenti degli Antoniani arrivarono a comprendere terreni nei territori di Rivoli, Rosta, Buttigliera e Avigliana, verso Almese e Alpignano, oltre la Dora e nell’alta valle in prossimità del colle del Moncenisio. Nel territorio della Collina Morenica, il Camp ’d la Panada nei pressi di Cascina Nuova (toponimo Casin-a Növa) ricorda, nella propria denominazione, il meccanismo di formazione dei possedimenti. Si tratta infatti di uno dei tanti campi che i contadini concedevano ai monaci in cambio dell’assistenza, simboleggiata in questo caso dal piatto piemontese detto, appunto, Panata. È probabile che gli Antoniani conducessero direttamente solo la tenuta di Almese e che il resto dei loro beni fosse concesso in enfiteusi. I contadini che coltivavano le terre vicine a Ranverso erano ospitati nelle cascine adiacenti alla chiesa e al convento, una delle quali è ancora in attività. Tra il 1280 e il 1290 venne poi creata la bealera di Rivoli (di cui il “rio inverso” che dà il nome a Ranverso è una derivazione), utile per far funzionare il mulino, per irrigare le coltivazioni e dissetare gli animali. Grande importanza rivestiva l’hospitale, l’ospedaletto, la cui facciata è ancora visibile. Qui gli Antoniani accoglievano sia i pellegrini che si ammalavano durante il viaggio, sia i poveri e gli abitanti dei paesi circostanti che necessitavano di cure. I malati più numerosi erano quelli affetti dal “fuoco sacro”, un’infezione cutanea detta anche “fuoco di S. Antonio”. Per curarla gli Antoniani utilizzavano il grasso di maiale ed è per questo che avevano ricevuto dal Papa l’autorizzazione ad allevare nelle loro tenute anche questi animali, oltre ai bovini ed ai capro-ovini. Ciò spiega anche perché il maiale sia spesso associato alla figura di S. Antonio Abate, insieme ad altri simboli come il fuoco e la lettera greca tau, la cui forma ricordava la stampella usata dagli ammalati cui era stata amputata una gamba. Probabilmente la colonnina di granito, posta sul masso erratico a sinistra della chiesa, segnalava la presenza dell’ospedale e la disponibilità ad accogliere i viaggiatori. La colonnina e il masso a lato della Precettoria. La torre Bicocca di Buttigliera di Liliana Boella La Torre Bicocca di Buttigliera Alta si erge per circa 13 metri su un cordone secondario della collina morenica, a 411 metri d’altitudine, tra Buttigliera e Ferriera. Essa fu probabilmente costruita nella seconda metà del ‘400, anche se la sua prima citazione in un documento scritto risale al 1619 quando «furono affisse su di essa le armi ducali», in occasione della presa di possesso del feudo di Buttigliera da parte del conte Giovanni Carron, che ne aveva acquistato i diritti dal duca Carlo Emanuele I di Savoia. Con le altre torri e castelli della bassa Valle di Susa, come quelli di Avigliana, Villardora, Almese, Caselette e Rivoli, faceva parte di un sistema di fortificazioni collegate a vista esistente sin dal medioevo e che, nato con scopi difensivi e di avvistamento, mantenne le sue funzioni fino alle soglie dell’epoca moderna (tra gli episodi bellici che interessarono direttamente o indirettamente la valle, il più rilevante fu l’assedio di Torino del 1706). Come le altre fortificazioni della bassa valle, la Torre Bicocca era probabilmente utilizzata anche per segnalazioni notturne: lo testimonierebbero sia un’ordinanza del 1799 con la quale il comandante del presidio francese disponeva di provvedere al «fanale della Bicocca», sia il focolare ospitato in un’apposita struttura sulla piattaforma superiore della torre, ancora visibile in una cartolina dell’inizio del secolo scorso. Sul finire dell’Ottocento, dopo l’installazione sull’altura di San Grato in Rivoli del telegrafo ottico dell’abate Chappe, la torre fu probabilmente inserita nella linea di trasmissione Torino-Lione-Parigi. Oggi restano, a testimoniare le vicende più oscure dei secoli passati, le ossa dei cavalli che la tradizione popolare vuole che a volte emergano dal suolo lavorato non lontano dalla torre e la presenza di due località i cui toponimi dialettali gettano un’ombra inquietante su questo luogo: Pera Mala, ossia “pietra cattiva”, e Ruinaas cioè “rovinaccia”. Anche il Ponte Sanchino, U Sanchin, che supera il canale di Rivoli a valle della torre, è legato ad un racconto tra il burlesco ed il tenebroso che rievoca il brigantaggio che infestava il territorio. Vi si narra della disavventura occorsa ad un mercante di Avigliana, Giuseppe, che, rientrando una notte verso casa, proprio nei pressi del ponte venne assalito dai banditi che lo derubarono dopo averlo malmenato. Torre Bicocca di Buttigliera Alta