E se Sant’Antonio Abate del fuoco nemico del demonio fosse nato a villa Aprosta attuale paese in Vallecroisa a Intemelio Ventimiglia Italy

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ATTUALITÀ | sabato 10 marzo 2012, 20:09

Ventimiglia: la tradizione che lega Sant’Antonio Abate alla città raccontata da Sergio Pallanca

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“Esiste un’antica tradizione che lega Sant’Antonio Abate a Ventimiglia. Occorre partire un po’ in là nel tempo, intorno all’anno mille.

Il Conte di Ventimiglia Guido Guerra  nel 954 redige un testamento: ‘In atto di partire contro i perfidi saraceni in aiuto dell’Illustre Signore Alfonso, Re degli Spagnoli mio avuncolo…temendo il Giudizio Divino e spaventato dall’incerta morte…ordino e scelgo per me e i miei figli, in qualsiasi luogo a me o a loro accadrà di morire, la sepoltura dovrà essere nella Cappella di San Michele, che mio padre fece costruire in un oliveto di sua proprietà…ingiungo a Corrado, mio primogenito e ai suoi successori, che innanzi al mio sepolcro in detta Cappella faccia costruire l’altare di Sant’Antonio e presso la detta Cappella un ospedale per gli infermi di Sant’Antonio ai quali attenderanno i frati’.

Ecco che il Conte oltre a vasti e ricchi possedimenti fra cui il ‘Castrum Sepulchro’, Seborga, dona ai monaci di Lerino la chiesa di San Michele con la clausola della edificazione di un altare dedicato a Sant’Antonio. Ma come si spiega questa particolare devozione del Conte  per il Santo Eremita popolatore di deserti?

Sant’Antonio Abate, da ‘abbà’ Padre Spirituale fu un monaco anacoreta, visse la sua lunga vita, 126 anni, nel deserto nei pressi del Mar Rosso, n lotta contro le tentazioni del demonio, è considerato il fondatore del monachesimo cristiano. Antonio si dedicò a lenire le pene dei sofferenti operando ‘guarigioni’ e ‘liberazioni dal demonio’. I seguaci di Sant’Antonio si diffusero a oriente e occidente del Nilo, vivevano in grotte ed anfratti ma sempre sotto la guida di un eremita più anziano e con Antonio come guida spirituale, da qui nacque una nuova forma di monachesimo, il cenobitismo, cioè il vivere insieme di più monaci. Il cenobitismo si diffuse in seguito in occidente, in Provenza.

Antonio era di origini orientali,  nacque, nel 251 circa, a Cuma, l’attuale  Qumans in Egitto, e dall’Egitto mai si allontanò, tuttavia i Conti di Ventimiglia si onoravano di appartenere alla stessa casata del Santo come da ‘Storia della Città di Ventimiglia’ del Prof. Girolamo Rossi: ‘Nella cappella (del castello del Conte n.d.a.) dedicata al protettore del casato S.Antonio abate veniva gelosamente conservata la culla dove la tradizione diceva fosse stato il santo riposto infante’.

Da ‘Intemelio’ di Nicolò canonico Peitavino: ‘…nella famiglia dei Conti era diffusa la tradizione di essere lontani discendenti, per parte della madre, di questo glorioso eremita: tant’è vero che una tradizione antica diceva che il popolatore dei deserti fosse nato ad Intemelio nella villa Aprosia, ora Vallecrosia. Per questo motivo credevano di avere il potere soprannaturale di guarire quanti erano colpiti dal fuoco sacro, come i re di Francia si attribuivano il potere di guarire gli scufolosi’.

Aggiungiamo noi che la tradizione diceva che il padre di S. Antonio fosse un ricco mercante che per commercio venne a Ventimiglia, qui incontrò la figlia del Conte, la sposò, nacque Antonio poi tuta la famiglia andò in Egitto.

I Conti ottennero il titolo da fonte imperiale, da Carlo Magno, probabilmente per motivi di guerra, per aver fornito all’imperatore soldati e aiuti economici ma vollero ammantarsi di un’aura di nobiltà e santità rivendicando nel loro casato un santo.

Quando nel 1650 fu edificato, sui resti del castello dei Conti di Ventimiglia, il convento delle suore Canonichesse Lateranensi in ricordo della antica tradizione si dedicò la Cappella del monastero a S. Antonio.

Al di sopra del portale d’ingresso venne posta un’effige del Santo con i suoi attributi iconografici: la Croce a T cucita sul saio (tau, 19° lettera dell’alfabeto greco e ultima di quello ebraico rappresenta il simbolo del compimento completo dell’Opera di Dio, segno di salvezza, oppure l’iniziale di ‘thaumatos’, miracoli compiuti da S. Antonio, ancora la croce tau veniva posta dai lebbrosi sulle loro piaghe per guarirle), il libro delle Sacre Scritture, in mano e aperto, il lungo bastone con legata una campanella, un maiale, il fuoco.

Il fuoco, il maiale rappresentano il ‘mal degli ardenti’ cioè il ‘fuoco di S.Antonio’ che veniva curato, appunto col grasso di maiale frammisto ad erbe. I frati antoniani avevano il permesso eccezionale di allevare maiali all’interno della cinta muraria delle città proprio per poter curare tale malattia.

Tutt’ora il quadro, datato 1705, è visibile all’interno della Cappella del convento, ora delle Suore di nostra Signora dell’Orto. Come si può vedere dalla foto, di qualche anno fa, il dipinto necessita di un intervento di restauro.

Aggiungiamo che il ‘Fuoco di Sant’Antonio’ era una patologia, una sindrome della pelle dovuta a varie cause: cattiva alimentazione, pessima igiene unita o a casi di intossicazione alimentare, l’ergotismo, cioè i cereali, grano, segale, erano infestati da una muffa, Claviceps Purpurea, oppure a una infezione virale da Herpes Zoster.

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