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Bruno Epifani
La giornata mondiale della Poesia
è stata istituita dall’UNESCO nel 1999. La scelta del primo giorno di primavera indica
che la poesia di per sé è LUCE e RISVEGLIO, APERTURA di nuovi orizzonti
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Sabato 21 marzo 2015 alle ore 19.30 a Martano – sala Conferenze il laboratorio di ITACA MIN FARS HUS ha messo in scena alcune poesie di Bruno Epifani
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inserito 10.01.2015
Il tempo poetico di Bruno Epifani
Dall’«Epistolario salentino» a «Una terra d’origine» sino «Alle radici di Eva»
di DINO LEVANTE (estratto dalla GAZZETTA del MEZZOGIORNO)
Il tempo poetico annulla quello cronologico, cioè quello storico. La forza della poesia risiede nel ridurre tutto il passato al presente, come fosse realtà, anche in forma simbolica rifuggendo del tutto dalla metafora, dal mito. Quando la poesia diviene letteratura. Questo ha sempre cercato Bruno Epifani, morto a Roma esattamente trent’anni fa, il 23 novembre 1984.
Era nato a Novoli il 12 gennaio 1936 e sin da giovanissimo si era interessato alla letteratura italiana contemporanea privilegiando Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto e Vittorio Bodini. ?Laureatosi con una tesi su Tommaso Fiore, inizia l’insegnamento prima a Torchiarolo, presso una scuola differenziata, poi nelle scuole italiane all’estero al Cairo dal 1975 e a Barcellona dal 1978.
«Epistolario salentino» fu la sua prima raccolta di poesie a sfondo meridionalistico, pubblicata presso l’editrice «L’Orsa Maggiore», nel 1966. Nel 1970 curò l’antologia «Pittori di Novoli», con brevi profili di artisti suoi concittadini che presero parte alla seconda collettiva di pittura curata dall’associazione culturale «Pippi Ferraro» e tenutasi a Santa Caterina nella Galleria Jonica. Tra gli altri riconoscimenti, nel 1972 vinse il Premio nazionale di poesia «Salento» e, nel 1973, il Premio concorso regionale di poesia «Cultura e azione».
Di Epifani si interessò molto Antonio Verri, anima e cuore pulsante del Centro culturale «Pensionante de’ Sa- raceni», che due anni dopo la morte dell’autore novolese pubblicò il volume «Una terra d’origine», con introduzione di Ennio Bonea. Nel libro sono presenti diverse poesie inedite ed è riproposto l’«Epistolario salentino».
Fresco di stampa è il volume «Alle radici di Eva», con prefazione di Carlo Alberto Augieri, docente di Critica letteraria ed ermeneutica del testo nell’Università del Salento (edito da Milella). Nella poesia di Epifani, scriveva Gerardo Trisolino, «si avverte chiara una duplice disposizione spirituale: da una parte campeggia la coscienza del dolore e della tristezza che rasenta la disperazione, intrecciati alle note di un paesaggio salentino; dall’altra emerge un atteggiamento combattivo, nostalgico, la reazione dell’uomo che va in cerca delle sue ragioni di vita».
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CORRIERE SALENTINO.it – Cultura, Prima Pagina
novembre 23, 2014 –
di Pamela Pinto (estratto dal Corriere)
La poesia era per Epifani “essenza di vita” ed il mondo “una casa aperta”, in cui – citando Carlo Alberto Augieri – «riconoscersi vuol dire ritrovare nell’altro fondamentalmente un volto a cui confidare le proprio ragioni […]». È, dunque, il “tu” l’elemento “necessario” di una poesia così singolare il cui linguaggio autentico non può oggi non parlare ai nostri cuori e alla nostra mente. A ciascuno “la sua ricchezza”, a ciascuno il proprio “sentirsi io” per “vederci noi” come “parte del tutto”: «A ciascuno fu data la sua parte di ricchezza: / a te / due occhi neri / come olive di puglia / a me / due sole maniper remi». [Bruno Epifani, “Alle radici di Eva”].
Epifani è stato recentemente ricordato dal critico letterario Antonio Errico – nel libro Viaggio a Finibusterrae. Il Salento fra passioni e confini, edito da Manni – quale voce poetica tra le più raffinate di Terra d’Otranto, “faro della letteratura salentina del Novecento”, come ha scritto Paolo Vincenti, accanto a Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Girolamo Comi, Vittore Fiore, Ercole Ugo D’Andrea, Giovanni Bernardini, Antonio Verri, Salvatore Toma, Donato Moro, Nicola De Donno e Claudia Ruggeri. “A Otranto”: questa la poesia scelta da Errico per il suo “viaggio emozionale” tra Lecce, Otranto, Castro, Santa Cesarea, Gallipoli, tra i luoghi più belli del Salento: luoghi dell’anima, paesaggi interiori, terra d’origine, radice che si affaccia alla realtà e, con lo “sguardo”, diviene parola.
Lo stesso Errico, lo scorso 12 agosto 2014, in qualità di consulente letterario e curatore della tessitura testuale, lo ha ancora citato tra i poeti scomparsi, in occasione del concerto poetico “Selvaggi d’Amore di Morte” – in omaggio a Vittorio Bodini – tenutosi a Santa Cesarea Terme e realizzato dal regista Salvatore Della Villa, dall’attrice Anna Mazzamauro, dal compositore Gianluigi Antonaci e dai musicisti Pino Fanciullo e Giorgia Santoro.
Partendo, quindi, da una tradizione profondamente legata ai valori della famiglia, come può essere quella leccese, Epifani fu “l’ago della bilancia” della propria vita, dove andare a destra, a sinistra o scegliere di restare al centro, significava dover “oscillare” tra il bisogno di “continuare a cercare altrove” ed il desiderio di ritornare nella propria terra,“intento a dar voce alle sue pene e a quelle del mondo che lo circondava”. Significativa l’amicizia con Antonio Verri che di lui amava molto il pensiero; nelle pubblicazioni postume, egli ha ricoperto un “ruolo” assolutamente rilevante, avendo incoraggiato il “dar voce a chi voce non aveva più”.
Autore in vita di un solo volume, l’ Epistolario Salentino -Editrice “L’Orsa Maggiore”, 1967. Postumi, invece, i due volumi Una terra d’origine – pubblicata nel 1986 dal centro culturale“Pensionante de’ Saraceni”, con prefazione di Ennio Bonea – e Alle radici di Eva – edizioni Milella, 2014, con prefazione di Carlo Alberto Augieri. Il primo vede al centro l’amore passionale per la propria terra e il dolore per la sorte della sua gente. Il secondo, invece, è una raccolta di poesie d’amore, scritte a Il Cairo e a Barcellona, che sarà presentata nei prossimi mesi.
«Non costruitemi una tomba senza nome?con una croce da portare dopo morto?Io voglio essere?l’albero della vigna?e il seme?che scoppia nella terra»
Bruno Epifani?“Epistolario Salentino”
inserito 20.12.2002
vedi di seguito
La critica di E. Bonea
L'opera alcune poesie da "Epistolario salentino" di B. Epifani
mmmm….Maledetti Salentini ! di A, Stomeo
PREMESSA
Prima ancora di dare spazio ai tanti poeti che ci auguriamo di ospitare nel nostro sito, ci sembra doveroso ascoltare e diffondere la voce di un uomo per il quale la poesia era essenza di vita e che ora, scomparso, parla a i nostri cuori e alla nostra mente con il suo più autentico linguaggio.
Non è soltanto una manifestazione di affetto verso chi abbiamo conosciuto da molto vicino, ma è un segno di riconoscenza verso chi ci ha lasciato in eredità un patrimonio culturale che merita di essere conosciuto. Noi ci impegniamo a diffondere la sua poesia così come avrebbe fatto lo stesso autore se ne avesse avuto la possibilità.
L’AUTORE
BRUNO EPIFANI è nato a Novoli (Le) nel 1936 ed è proprio qui, in un piccolissimo centro di provincia, che ha cominciato ad operare impegnandosi ad organizzare attività culturali.
Si è sempre interessato di letteratura contemporanea, laureandosi con una tesi su Tommaso Fiore. Ottimo educatore con ragazzi problematici, nel 1975 è andato a insegnare in Egitto e nel 1978 in Spagna, forse seguendo le orme, l’ansia e la magia del nonno venditore di cavalli arabi, ma è ritornato nel Salento da cui traeva l’ispirazione e nel quale si sentiva profondamente radicato.
Autore di volumi editi: Epistolario Salentino ( Ed. L’Orsa Maggiore, Lecce 1967 ) e di Una terra d’origine ( Ed. Quaderni del Pensionante, Lecce 1985 ) e di inediti dell’ultima stagione, ha prodotto soprattutto poesia, inseguendo e abbozzando un romanzo, possibili saggi…
È morto, strapieno di voglia di fare, nel novembre 1984.
LA CRITICA
BRUNO EPIFANI, ESILIO E RITORNO di Ennio Bonea
Tratto dall’introduzione a “Una terra d’origine“
La poesia di Epifani trova la sua base d'appoggio ideologica nel passato storico e sociale che, nelle generazioni succedutesi nei tempi attraverso vicende anche catastrofiche, vedi il sovrapporsi dei greci ai messapi, dei romani ai greci, e così via, diventa tessuto mentale e psichico, taglio antropologico.
Il passato dunque è il presupposto, il mezzo attraverso cui esso riaffiora nella mente del poeta è la memoria; sarebbe tuttavia errato servirsi della definizione di memorialistica per trovare una chiave di interpretazione di questa poesia.
Non c'è descrittivismo paesistico, se non per aggettivi coloristici come calcinato, ricorrente in molte liriche, come a fissare un connotato non solo di veduta esterna, ma anche dell'uomo che si aggira e vive nelle case, equivalente ad incorrotto ed intonso, riferiti a sangue e cuore dei sopravvissuti, cioè i salentini che dalla storia sono sempre portati a prove estreme: case, paesi, terra, piante, animali e uomini in unica sintesi.
Quel che di originale emerge nella poesia di Epifani, è l'aver compattato la terra salentina, nella sua originaria caratterizzazione, alla magnagrecia:
Qui
Pitagora dedusse il numero
principio e fine
d'ogni congiunzione di pensieri,
di fede
e musica
di navigati mappamondi
dove il poeta «vede» un solo mare:
l’Jonio, il mare della magnagrecia
anche quando i paesi del Salento si chiamino Otranto e Castro, egli svaria
sulle rotte di Odisseo luminoso
quando il canto si sostanzia dell'amore sensuale e corposo, nelle ultime liriche della raccolta, si realizza il processo di identificazione donna terra mare:
Sul tuo mutamento
la mia vita trascorre
E ha il tuo nome la Puglia
La tua voce lo Jonio
E la paura acerba di vederti partire.
Il tempo poetico di Epifani annulla il trascorso cronologico, cioè il tempo storico; egli riduce tutto il passato al presente, come rivolge in realtà, anche in realtà simbolica rifuggendo del tutto dalla metafora, il mito: gli antichi Normanni, gli assedianti Saraceni, le galere dei Turchi, il Sultano, il mito d'Enea e la favola di don Chisciotte, non sono artifizi di immaginazione o sprazzi di vicende storiche e di fantasie epiche, ma simboli di una realtà in essere sofferta da lui stesso, uno dei tanti costretti a subire la condanna all'esilio dalla patria:
Non crediate che sia per turismo
distaccarci da questi paesi
indolenti rudi bianchi di calce
………….
Paesi dimenticati dal mondo del lavoro
che lo fa prorompere in accenti scotellariani di rampogna sociale:
Voi che sedete su scanni di velluto
calpestate questa terra ricca
delle nostre fatiche quotidiane;
lui che, dopo essere approdato, sempre esule, alla terra di don Chisciotte, amaramente, al
rientro, rimugina tra sè
e per sopravvivere
questo solo mi resta
combatto i Mulini
tra le ortiche
e i limoni.
Il motivo dominante della raccolta è l'esilio compiuto, superato dal ritorno, un esilio che non è stato fuga, pulsione comune di tanti meridionali e ansia di poeti come Gatto, Quasimodo, Bodini, dei quali risuona la presenza, specie dell'ultimo nella cui poesia si confrontano l'odio e l'amore per la terra natale, ma condanna subita che accentua la devozione filiale e non consente la minima concessione al risentimento di esservi nato:
Se oltre questo mare
un'altra casa
un'altra terra
chiamano
la mia sorte è partire
per non morire solo
come la cicala
appena è Autunno
…il legame che stringe il giovane poeta al più anziano, anche lui, e tanti anni prima, scomparso, non è solo dovuto al sortilegio dei luoghi, ma soprattutto all'assorbimento della lezione, all'appropriazione spirituale del mondo culturale ed ideale, all'ambizione di percorrere lo stesso percorso stilistico se non quello formale della versificazione, in Epifani assolutamente autonomo … una legittimazione per l'inserimento di Epifani in quella ipotetica «linea salentina» di cui Bodini è certamente il capofila, senza diminuzione alcuna per la valenza del tono, in assurde ma tuttavia ricorrenti graduatorie, in campo nazionale.
Bruno Epifani aveva coscienza di un suo tirocinio poetico che curava con estrema serietà di ricerca e di impegno; ma, come gli ingegni lucidi e preveggenti, avvertiva il presagio dell' irreparabile, se riuscì a scrivere:
Non costruitemi una tomba senza nome
con una croce da portare dopo morto
lo voglio essere l'albero della vigna
e il seme
che scoppia nella terra
Voglio essere la luce
e l'ombra della sera.
Questa raccolta è il segno, chi sa se avvertito, ora, da lui, che egli è, insieme, albero e seme, luce ed ombra.
L'OPERA
Da “ Epistolario salentino “
Forse è il vento del Sud lieve di scirocco che mi porta la tua voce ed io non so se piena d’amore o di lusinghe come un gesto che rompe il silenzio durato fin troppe stagioni |
cliccare sull'immagine per ingrandire |
La terra vuole riscatti |
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Ho udito parole |
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Il corvo |
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mmmm….Maledetti Salentini !
ITACA – Min Fars hus P R O G E T T O
La casa del padre U N I V E R S I T A
Ricerca – Teatro – Cultura Università di Lecce
con il contributo del Consiglio degli Studenti
presentano
mmmm….Maledetti Salentini !
Secondo Laboratorio
la ricerca dell’alterità tra teatro e poesia
per: Salvatore Toma (poeta) e Piero Panesi (pittore)
e per: Carmelo Bene, Vittorio Bodini, Bruno Epifani,
Antonio L. Verri.
con:
Cristina Carluccio Antonio Lopez y Royo
Emanuele De Matteis Federica Pascali
Laura Giannoccaro Elena Scippa
Lorenzo Giove Stefania Siepi
Paola Leserri Cristina Stefanelli
Lavoro con testi di:
Salvatore Toma, Vittorio Bodini, Carmelo Bene, Bruno Epifani,
Antonio L. Verri
(e di: Antonio Lopez y Royo, Lorenzo Giove, Federica Pascali)
Laboratorio, drammaturgia e regia: Anna Stomeo
Musica e canto: Laura Giannoccaro, Paola Leserri
spazio scenico : Itaca-Min Fars hus luci e suoni: Idea Service
L E C C E – M a r t e d ì – 8 F e b b r a i o 2 0 0 5
Università degli studi – Aula Magna Ateneo – ore 19.00
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