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Torre della Bicocca

La torre della Bicocca era collegata ad un sistema di fortificazioni e di punti d’osservazione presenti in Val di Susa durante il Medioevo, costituivano nel loro insieme un vero e proprio sistema di comunicazione, utilizzato per la trasmissione visiva di segnali da una zona all’altra della bassa valle.

L’origine della torre è certamente antica, ma il primo documento che ne parla risale al 1619: si tratta di un’attestazione della presa di possesso del feudo di Buttigliera da parte della famiglia Carron.

Successivamente la torre viene citata in un’ordinanza del 1799 emessa dal comandante delle truppe francesi attestate presso la Bicocca durante la campagna d’Italia di Napoleone.

La Torre Bicocca di Buttigliera Alta si erge per circa 13 metri su un cordone secondario della collina morenica, a 411 metri d’altitudine, tra Buttigliera e Ferriera. Essa fu probabilmente costruita nella seconda metà del ‘400, anche se la sua prima citazione in un documento scritto risale al 1619 quando «furono affisse su di essa le armi ducali», in occasione della presa di possesso del feudo di Buttigliera da parte del conte Giovanni Carron, che ne aveva acquistato i diritti dal duca Carlo Emanuele I di Savoia. Con le altre torri e castelli della bassa Valle di Susa, come quelli di Avigliana, Villardora, Almese, Caselette e Rivoli, faceva parte di un sistema di fortificazioni collegate a vista esistente sin dal medioevo e che, nato con scopi difensivi e di avvistamento, mantenne le sue funzioni fino alle soglie dell’epoca moderna (tra gli episodi bellici che interessarono direttamente o indirettamente la valle, il più rilevante fu l’assedio di Torino del 1706).
Come le altre fortificazioni della bassa valle, la Torre Bicocca era probabilmente utilizzata anche per segnalazioni notturne: lo testimonierebbero sia un’ordinanza del 1799 con la quale il comandante del presidio francese disponeva di provvedere al «fanale della Bicocca», sia il focolare ospitato in un’apposita struttura sulla piattaforma superiore della torre, ancora visibile in una cartolina dell’inizio del secolo scorso. Sul finire dell’Ottocento, dopo l’installazione sull’altura di San Grato in Rivoli del telegrafo ottico dell’abate Chappe, la torre fu probabilmente inserita nella linea di trasmissione Torino-Lione-Parigi.
Oggi restano, a testimoniare le vicende più oscure dei secoli passati, le ossa dei cavalli che la tradizione popolare vuole che a volte emergano dal suolo lavorato non lontano dalla torre e la presen a di due località i cui toponimi dialettali gettano un’ombra inquietante su questo luogo: Pera Mala, ossia “pietra cattiva”, e Ruinaas cioè “rovinaccia”. Anche il Ponte Sanchino, U Sanchin, che supera il canale di Rivoli a valle della torre, è legato ad un racconto tra il burlesco ed il tenebroso che rievoca il brigantaggio che infestava il territorio. Vi si narra della disavventura occorsa ad un mercante di Avigliana, Giuseppe, che, rientrando una notte verso casa, proprio nei pressi del ponte venne assalito dai banditi che lo derubarono dopo averlo malmenato.