Il culto e la devozione per sant’Antonio abate sono diffusissimi in Italia ed egli è patrono di molte località italiane, in particolare dei seguenti comuni: Novoli ecc….

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Antonio abate

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Sant’Antonio abate
San Antonio Abad (Zurbarán).jpg

Francisco de Zurbarán, San Antonio Abad, 1664

detto il Grande
Nascita Qumans (Egitto), 12 gennaio 251
Morte Deserto della Tebaide, 17 gennaio 356
Venerato da Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi
Santuario principale Monastero di Sant’AntonioEgitto
Ricorrenza 17 gennaio
Attributi croce a tau, bastone, campanella, maiale, demonio, libro, fuoco
Patrono di Invocato contro l’herpes zoster, protettore di macellai, salumai, norcini, canestrai, animali domestici

Santo Antonio abate, detto anche sant’Antonio il Grandesant’Antonio d’Egittosant’Antonio del Fuocosant’Antonio del Desertosant’Antonio l’Anacoreta (in greco anticoἈντώνιοςAntṓnios, in latinoAntonius, in coptoⲀⲃⲃⲁ ⲀⲛⲧⲱⲛⲓQumans12 gennaio 251 – deserto della Tebaide17 gennaio 356), è stato un abate ed eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.

A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È ricordato nel Calendario dei santi della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio, ma la Chiesa ortodossa copta lo festeggia il 31 gennaio che corrisponde, nel suo calendario, al 22 del mese di Tobi.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

La vita di Antonio abate è nota soprattutto attraverso la Vita Antonii pubblicata nel 357 circa, opera agiografica scritta da Atanasio, vescovo di Alessandria, che conobbe Antonio e fu da lui coadiuvato nella lotta contro l’arianesimo. L’opera, tradotta in varie lingue, divenne popolare tanto in Oriente quanto in Occidente e diede un contributo importante all’affermazione degli ideali della vita monastica. Grande rilievo assume, nella Vita Antonii, la descrizione della lotta di Antonio contro le tentazioni del demonio. Un significativo riferimento alla vita di Antonio si trova nella Vita Sancti Pauli primi eremitae scritta da san Girolamo negli anni 375377. Vi si narra l’incontro, nel deserto della Tebaide, di Antonio con il più anziano Paolo di Tebe. Il resoconto dei rapporti tra i due santi (con l’episodio del corvo che porta loro un pane, affinché si sfamino, sino alla sepoltura del vecchissimo Paolo per opera di Antonio) vennero poi ripresi anche nei resoconti medievali della vita dei santi, in primo luogo nella celebre Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.

Antonio nacque a Coma in Egitto (l’odierna Qumans) intorno al 251, figlio di agiati agricoltori cristiani. Rimasto orfano prima dei vent’anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare, sentì ben presto di dover seguire l’esortazione evangelica: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri”[1]. Così, distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella a una comunità femminile, seguì la vita solitaria che già altri anacoreti facevano nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità.

Icona raffigurante sant’Antonio abate.

Si racconta che ebbe una visione in cui un eremita come lui riempiva la giornata dividendo il tempo tra preghiera e l’intreccio di una corda. Da questo dedusse che, oltre alla preghiera, ci si doveva dedicare a un’attività concreta. Così ispirato condusse da solo una vita ritirata, dove i frutti del suo lavoro gli servivano per procurarsi il cibo e per fare carità. In questi primi anni fu molto tormentato da tentazioni fortissime, dubbi lo assalivano sulla validità di questa vita solitaria. Consultando altri eremiti venne esortato a perseverare. Lo consigliarono di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Allora, coperto da un rude panno, si chiuse in una tomba scavata nella roccia nei pressi del villaggio di Coma. In questo luogo sarebbe stato aggredito e percosso dal demonio; senza sensi venne raccolto da persone che si recavano alla tomba per portargli del cibo e fu trasportato nella chiesa del villaggio, dove si rimise.

In seguito Antonio si spostò verso il Mar Rosso sul monte Pispir dove esisteva una fortezza romana abbandonata, con una fonte di acqua. Era il 285 e rimase in questo luogo per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva calato due volte all’anno. In questo luogo egli proseguì la sua ricerca di totale purificazione, pur essendo aspramente tormentato, secondo la leggenda, dal demonio.

Con il tempo molte persone vollero stare vicino a lui e, abbattute le mura del fortino, liberarono Antonio dal suo rifugio. Antonio allora si dedicò a lenire i sofferenti operando, secondo tradizione, “guarigioni” e “liberazioni dal demonio”.

Grotta in cui viveva Antonio, sul monte che domina il suo monastero.

Il gruppo dei seguaci di Antonio si divise in due comunità, una a oriente e l’altra a occidente del fiume Nilo. Questi Padri del deserto vivevano in grotte e anfratti, ma sempre sotto la guida di un eremita più anziano e con Antonio come guida spirituale. Antonio contribuì all’espansione dell’anacoretismo in contrapposizione al cenobitismo.

Ilarione (291-371) visitò nel 307 Antonio, per avere consigli su come fondare una comunità monastica a Majuma, città marittima vicino a Gaza dove venne costruito il primo monastero della cristianità in Palestina[2].

Nel 311, durante la persecuzione dell’imperatore Massimino Daia, Antonio tornò ad Alessandria per sostenere e confortare i cristiani perseguitati. Non fu oggetto di persecuzioni personali. In quell’occasione il suo amico Atanasio scrisse una lettera all’imperatore Costantino I per intercedere nei suoi confronti. Tornata la pace, Antonio, pur restando sempre in contatto con Atanasio e sostenendolo nella lotta contro l’arianesimo, visse i suoi ultimi anni nel deserto della Tebaide dove, pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì, all’età di 105 anni, probabilmente nel 356. Venne sepolto dai suoi discepoli in un luogo segreto.

Le reliquie[modifica | modifica wikitesto]

La storia della traslazione delle reliquie di sant’Antonio in Occidente si basa principalmente sulla ricostruzione elaborata nel XVI secolo da Aymar Falco, storico ufficiale dell’Ordine dei Canonici Antoniani.

Dopo il ritrovamento del luogo di sepoltura nel deserto egiziano, le reliquie sarebbero state prima traslate nella città di Alessandria. Ciò avvenne intorno alla metà del VI secolo: numerosi martirologi medievali datano la traslazione al tempo di Giustiniano (527-565). Poi, a seguito dell’occupazione araba dell’Egitto, sarebbero state portate a Costantinopoli (670 circa). Nell’XI secolo il nobile francese Jaucelin (Joselino), signore di Châteauneuf, nella diocesi di Vienne, le ottenne in dono dall’imperatore di Costantinopoli e le portò in Francia nel Delfinato.

Qui il nobile Guigues de Didier fece poi costruire, nel villaggio di La Motte aux Bois che in seguito prese il nome di Saint-Antoine-l’Abbaye, una chiesa che accolse le reliquie poste sotto la tutela del priorato benedettino che faceva capo all’abbazia di Montmajour (vicino ad Arles, in Provenza).

Nello stesso luogo si originò il primo nucleo di quello che poi divenne l’Ordine degli Ospedalieri Antoniani, la cui vocazione originaria era quella dell’accoglienza delle persone affette dal fuoco di sant’Antonio. L’afflusso di denaro proveniente dalla questua fece nascere forti contrasti tra il priorato e i Cavalieri Ospitalieri. I primi furono costretti così ad andarsene ma portarono con se la reliquia della testa di Sant’Antonio. A partire dal XV secolo, il priorato iniziò a sostenere di possedere la sacra reliquia, sottratta durante la fuga agli antoniani. La sacra reliquia venne solennemente riposta ad Arles nella chiesa di Saint-Julien, di loro proprietà. Nel 1517, il cardinale Luigi d’Aragona, nel corso di un suo viaggio per l’Europa, si recò sia a Saint-Antoine-l’Abbaye che a Montmajour e catalogò “osso per osso” le reliquie custodite in ciascuno dei due sepolcri rilevando la palese loro duplicazione e segnalando tutto al Papa, senza però risolvere l’impasse.[3]

Le testimonianze più antiche identificano Jocelino come nipote di Guglielmo, colui che, parente di Carlo Magno, dopo essere stato al suo fianco in diverse battaglie, si era ritirato a vita monastica e aveva fondato il monastero di Gellone (oggi Saint-Guilhelm-le-Désert).

Inoltre, se a partire dall’XI secolo incomincia a svilupparsi il culto taumaturgico nella città di Saint-Antoine-L’Abbaye, attorno alle spoglie di Antonio, nello stesso periodo si origina la tradizione che narra della presenza del corpo del santo all’interno dell’abbazia di Lézat (Lézat-sur-Léze). Quindi i corpi di Antonio, in Occidente, diventano tre, e tali rimarranno fino al XVIII secolo[4].

In Italia, la reliquia insigne del braccio del santo anacoreta è conservata a Novoli, in Puglia, nel santuario dedicato. La cittadina riserva ogni anno al santo patrono grandiosi festeggiamenti.

Iconografia[modifica | modifica wikitesto]

Matthias GrünewaldAltare di Issenheim per l’ospedale degli Antoniani

Le Tentazioni di Sant’Antonio incisione di Martin Schongauer, ca 1490.

La popolarità della vita del santo – esempio preclaro degli ideali della vita monastica – spiega il posto centrale che la sua raffigurazione ha costantemente avuto nell’arte sacra. Una delle più antiche immagini pervenutaci, risalente all’VIII secolo, è contenuta in un frammento di affresco proveniente dal monastero di Baouit (Egitto), fondato da sant’Apollo.

A causa della diffusissima venerazione, troviamo immagini del santo, solitamente raffigurato come un anziano monaco dalla lunga barba bianca, nei codici miniati, nei capitelli, nelle vetrate (come in quelle del coro della cattedrale di Chartres), nelle sculture lignee destinate agli altari e alle cappelle, negli affreschi, nelle tavole e nelle pale poste nei luoghi di culto. Con l’avvento della stampa la sua immagine comparve anche in molte incisioni che i devoti appendono nelle loro case così come nelle loro stalle.

Nel periodo medievale, il culto di sant’Antonio fu reso popolare soprattutto per opera dell’ordine degli Ospedalieri Antoniani, che ne consacrarono altresì l’iconografia: essa ritrae il santo ormai avanti negli anni, mentre incede scuotendo un campanello (come facevano appunto gli Antoniani), in compagnia di un maiale (animale dal quale essi ricavavano il grasso per preparare emollienti da spalmare sulle piaghe). Il bastone da pellegrino termina spesso (come nel dipinto di Matthias Grünewald per l’altare di Issenheim) con una croce a forma di tau che gli Antoniani portavano cucita sul loro abito (thauma in greco antico significa stupore, meraviglia di fronte al prodigio). Tra gli insediamenti degli Ospedalieri è famoso quello di Issenheim (Alto Reno), mentre in Italia deve essere ricordata almeno la precettoria di Sant’Antonio in Ranverso (vicino a Torino) ove si conservano affreschi con le storie del santo dipinte da Giacomo Jaquerio (circa 1426).

Di fronte alla mole delle manifestazioni artistiche che hanno per oggetto la vita del santo, occorre limitarsi ad alcune citazioni.

In numerosi dipinti l’immagine di sant’Antonio è associata a quella di altri santi, in contemplazione spesso di una scena sacra. Ricordiamo ad esempio la suggestiva tavola del Pisanello (ca.144050) conservata alla National Gallery di Londra, che raffigura una visione della Madonna col Bambino che appare a un rude e barbuto sant’Antonio, con accanto un mansueto cinghiale accovacciato, e a un san Giorgio elegantemente vestito; e ancora la tavola con il nostro santo accovacciato assieme a san Nicola di Bari di fronte alla scena della Visitazione in una tavola di Piero di Cosimo (circa 1490) conservata alla National Gallery of Art di Washington.

Grande popolarità ebbero anche le scene d’incontro tra sant’Antonio e san Paolo eremita, narrate da san Girolamo. Nel camposanto di Pisa il pittore fiorentino Buonamico Buffalmacco affrescò (circa 1336) – con un linguaggio pittorico popolare e ironico alquanto dissacrante – scene di vita che hanno per protagonisti i due grandi eremiti ambientate nel paesaggio roccioso della Tebaide.

Il tema dell’incontro dei due santi eremiti venne ripreso innumerevoli volte: citiamo la tavola del Sassetta alla National Gallery of Art di Washington (circa 1440), la tela di Gerolamo Savoldo alla Gallerie dell’Accademia in Venezia (circa 1510) e quella di Diego Velázquez (circa 1635) al Museo del Prado. Inoltre lo spettacolare gruppo ligneo scolpito nel ‘700 dal genovese Anton Maria Maragliano conservato nell’oratorio di Sant’Antonio Abate a Mele (Genova).

Ma l’abate Antonio, per la storia dell’arte, è soprattutto il santo delle tentazioni demoniache: sia che esse assumano – in accordo con la Vita Antonii scritta da Atanasio di Alessandria – l’aspetto dell’oro, come avviene nella tavola del Beato Angelico (circa 1436) posta nel Museo delle Belle Arti di Houston, oppure l’aspetto delle lusinghe muliebri come avviene nella tavola centrale del celebre trittico delle tentazioni di Hieronymus Bosch al Museo nazionale dell’Arte antica di Lisbona, oppure ancora quello della lotta, contro inquietanti demoni, scena che fu popolarissima nel XVI e XVII secolo soprattutto nella pittura del Nord.

Tra le opere più conosciute a questo riguardo va menzionata la celebre tavola (ca 151520) di Matthias Grünewald che fa parte dell’altare di Issenheim conservato al Musée d’Unterlinden a Colmar. Essa è spesso citata assieme alla irriverente incisione (circa 148090) di Martin Schongauer al Metropolitan Museum of ArtNew York.

Sassetta
Sant’Antonio bastonato dai diavoli
SienaPinacoteca nazionale

Vanno poi ricordate anche le molteplici Tentazioni dipinte dai fiamminghi David Teniers il Giovane e da Jan Brueghel il Vecchio, con la raffigurazione di paesaggi popolati da presenze demoniache che congiurano contro il santo, mentre sullo sfondo ardono misteriosi incendi (richiamo evidente al fuoco di Sant’Antonio); esse segnarono per molti anni un genere imitato da numerosi artisti minori. Molto particolare la versione che ne dà Salvator Rosa nel ‘600, soprattutto per l’aspetto atipico del demone.

Il tema delle Tentazioni di sant’Antonio riletto con una diversa sensibilità, si ritrova anche in non pochi pittori moderni. Ricordiamo innanzi tutto Paul Cézanne con la sua Tentazione (circa 1875) della Collezione “E. G. Bührle” (Svizzera); poi la serie di tre litografie eseguite (1888) da Odilon Redon per illustrare il romanzo La tentation de Saint-Antoine di Gustave Flaubert.

Relativamente al XX secolo vanno menzionate le interpretazioni date a questo tema – con scoperta attenzione alla lezione psicoanalitica – da pittori quali Max Ernst e Salvador Dalí, entrambe eseguite nel 1946.

Attributi iconografici[modifica | modifica wikitesto]

La lettera tau minuscola e maiuscola

  • Croce a Τ (tau), spesso di colore rosso, sulle vesti o all’apice del bastone.
  • Bastone (spesso a forma di tau, la lettera ‘t’ dell’alfabeto greco), se raffigurato in abiti monacali, spesso con una campanella.
  • Pastorale, se raffigurato in abiti da abate, talora con un campanello.[Nota 1]
  • Maiale, ai piedi (talora altri animali, come il cinghiale).[Nota 2]
  • Campanella, in mano o legata al bastone, talora più di una.
  • Mitra, se raffigurato in abiti abbaziali, sulla testa, ai piedi o sorretta da angeli.
  • Libro delle sacre scritture, in mano, generalmente aperto[Nota 3] (talvolta ai piedi o sostenuto da angeli).
  • Fuoco, sul libro o ai piedi (richiama la protezione del santo sui malati del fuoco di Sant’Antonio).
  • Serpente, schiacciato dal piede.
  • Corona del Rosario, in mano o pendente dal bastone.
  • Aquila, ai piedi.

Galleria d’immagini[modifica | modifica wikitesto]

Arrows-folder-categorize.svg Le singole voci sono elencate nella Categoria:Dipinti su sant’Antonio Abate

Culto[modifica | modifica wikitesto]

Patronati[modifica | modifica wikitesto]

Sant’Antonio abate di Pontormo

Sant’Antonio fu presto invocato in Occidente come patrono dei macellai e salumai, dei contadini e degli allevatori e come protettore degli animali domestici; fu reputato essere potente taumaturgo capace di guarire malattie terribili.

Gli animali domestici[modifica | modifica wikitesto]

Sant’Antonio è considerato anche il protettore degli animali domestici, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.

La tradizione di benedire gli animali (in particolare i maiali) non è legata direttamente a sant’Antonio: nasce nel Medioevo in terra tedesca, quando era consuetudine che ogni villaggio allevasse un maiale da destinare all’ospedale, dove prestavano il loro servizio i monaci di sant’Antonio.

A partire dall’XI secolo gli abitanti delle città si lamentavano della presenza di maiali che pascolavano liberamente nelle vie e i Comuni s’incaricarono allora di vietarne la circolazione ma fatta sempre salva l’integrità fisica dei suini «di proprietà degli Antoniani, che ne ricavavano cibo per i malati (si capirà poi che per guarire bastava mangiare carne anziché segale), balsami per le piaghe, nonché sostentamento economico. Maiali, dunque, che via via acquisirono un’aura di sacralità e guai a chi dovesse rubarne uno, perché Antonio si sarebbe vendicato colpendolo con la malattia, anziché guarirla.»[5].

Secondo una leggenda del Veneto (dove viene chiamato San Bovo o San Bò, da non confondere con l’omonimo santo) e dell’Emilia, la notte del 17 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio e si racconta di un contadino che, preso dalla curiosità di sentire le mucche parlare, morì per la paura.

Patronati di località[modifica | modifica wikitesto]

Il culto e la devozione per sant’Antonio abate sono diffusissimi in Italia ed egli è patrono di molte località italiane, in particolare dei seguenti comuni:

La tradizione popolare[modifica | modifica wikitesto]

Le conche rescagnate di Collelongo

Collelongo
Il 16 e 17 gennaio si svolge a Collelongo, in Abruzzo, la festa dedicata al santo il cui culto risale localmente al XVII secolo[6]. I riti hanno inizio nella serata del 16 gennaio con l’accensione delle grandi torce in legno di quercia alte oltre 5 metri che ardono durante tutta la notte. Contemporaneamente in alcune case del paese, allestite per l’occasione con arance e altre icone del santo, viene posta sul fuoco la “cuttora” (o “cottora”), un paiolo nel quale viene messo a bollire il granturco, le cicerchie o i “cicerocchi” (ceci rossi) raccolti durante l’anno. La sera viene preparata la “pizza roscia”, una pizza cotta sotto la cenere composta da un impasto di farina di grano e di mais, condita con salsicceventresca e cavolo ripassato in padella. Alle 21 una fiaccolata, accompagnata da fisarmonicisti e cantanti che intonano la canzone popolare del santo, segue il parroco del paese a benedire le case ove, sopra il fuoco del camino, fuma per tutta la notte la cuttora. Chiunque entra nella cottora, fa gli auguri alla famiglia che la gestisce e gli viene offerto vino, companatico, mais bollito condito con olio e peperoncino, e dolci. Per tutta la notte, fino al mattino, il paese è animato da gente che canta, suona e gira di cottora in cottora. All’alba del 17 gennaio, lo sparo dei petardi annuncia la sfilata delle “conche rescagnate” (ovvero addobbate): si tratta di conche in rame, una volta usate per attingere l’acqua alla fonte, che dotate di luci e sormontate da scene di vita contadina, vengono portate in sfilata dai giovani del paese vestiti con i tradizionali costumi popolari. Dopo la santa messa mattutina viene distribuito il mais benedetto bollito nelle cottore per distribuirlo anche agli animali domestici. La festa si conclude nel pomeriggio con i classici giochi popolari[7][8].
Roccaspinalveti
Roccaspinalveti in Abruzzo persiste un’antica tradizione popolare che si rinnova il sedici gennaio di ogni anno, vigilia della ricorrenza della festività di Sant’Antonio abate. Un gruppo di persone con organettimandolinichitarretamburelli e strumenti artigianali della tradizione popolare (lu du bott, lu cupa cupa…), gira per le vie del paese, facendo visita alle famiglie del posto, per cantare “lu sant’Antonie”: una lunga stornellata che racconta la storia del grande abate. Vengono enfatizzate soprattutto le lotte che dovette sostenere contro il demonio, proprio per questo un membro del gruppo è travestito da esso, nonché viene narrata in breve la storia del Santo. Alla fine del canto ai membri del gruppo viene offerta salsiccia, un salame locale a base di carne di maiale insaccata, e vino, tutto rigorosamente fatto in casa, dalle famiglie ospitanti. Di queste famiglie, nonostante l’ora tarda, molte non si perdono lo spettacolo ed escono a cantare insieme, incuranti delle rigide temperature.
Serracapriola
Serracapriola, paese della Puglia al confine con il Molise, è ancora viva la tradizione di “portare” il “Sènt’Endòn”, cioè di girare per abitazioni e attività commerciali, suonando oltre a fisarmoniche, mandolini e chitarre, anche strumenti tipici della tradizione paesana (i Sciscèlèu’ Bbùchet-e-bbùchetu’ Ccèrina Scescelèreu Corneu Picch-pacch, i Troccèlè) e cantando in vernacolo, canti dedicati al Santo, inneggianti al riso, al ballo e ai prodotti derivati dalla lavorazione del maiale, quali mezzi per trascorrere i giorni del Carnevale all’insegna del mangiare, bere e divertirsi visto che dal giorno successivo al Martedì Grasso incomincia la Quaresima, tempo dedicato alla preghiera, al digiuno e all’espiazione dei peccati; a capo della comitiva c’è un volontario vestito da frate a simboleggiare il Santo che, con la propria “forcinella” (lunga asta terminante a forcina), raccoglie dolci e soprattutto salumi, che vengono donati per ingraziarsi i favori del Santo. Merito di aver importato questa tradizione squisitamente molisana, probabilmente nel 1927, dalla vicina Termoli, spetta a Ennio Giacci e ancor più a Guido Petti, autore quest’ultimo di musica e versi di svariate canzoni e in dialetto e in italiano, che annualmente vengono riproposte durante questa festa. Altri componimenti si devono al M° Luigi Tronco, autore di numerose melodie e testi anche in vernacolo serrano. Questi canti popolari esprimono la semplicità di un popolo in festa che sente il bisogno, il più delle volte sopito, di essere un’anima sola nella letizia, ma che al contempo spera, pur nella sofferenza. La viva voce e il suono degli strumenti, non alterato dal frastuono degli altoparlanti, riportano a tempi ormai lontani in cui la melodia all’italiana e ancor più quella dialettale, era di casa. Qualche giorno dopo, un lauto banchetto preparato con le offerte, dove prevale ogni sorta di insaccati ricavati dal maiale appena ammazzato, completa la festa.
L’incanto di Sant’Antonio
Barni, paese della provincia di Como, è usanza festeggiare il Santo con un incanto. I fedeli, nei giorni che precedono il 17 gennaio si recano nella chiesa principale del paese dove vi è una cappella laterale dedicata a Sant’Antonio. Qui, vengono appoggiati i doni per il Santo (generalmente generi alimentari locali come salami, verdura, frutta, formaggi, ma anche prodotti artigianali e animali vivi come galline, conigli, ecc.). Il 17 gennaio poi, dopo la Santa messa della mattina i beni regalati vengono venduti all’asta sul sagrato della chiesa e il ricavato è devoluto alla Parrocchia. Tradizione ancora più antica associava all’incanto il “Falò di Sant’Antonio”. Dal 2016, il tradizionale incanto è stato affiancato alla benedizione del sale per gli animali e dei mezzi agricoli.
La Fòcara di Novoli
Il più grande falò in onore di Sant’Antonio Abate viene realizzato a Novoli. Il falò, conosciuto col nome di “Fòcara”, è attualmente realizzato in tralci di vite, e può superare l’altezza di 25 metri con una base di 20 metri di diametro. La vigilia della festa, il 16 gennaio, la Fòcara viene incendiata con un magnifico spettacolo di fuochi d’artificio che illuminano a giorno il cielo novolese. L’evento, conosciuto in tutta la Puglia, attrae migliaia di spettatori da tutto il sud d’Italia ed è stato oggetto anche di un documentario del National Geographic. Di anno in anno i costruttori della “fòcara” s’impegnano a variarne la forma, dotandola a volte di un varco centrale, “la galleria”, attraverso cui sfila la processione con la statua e le reliquie del santo. La fòcara è formata da almeno 90.000 fascine, e le fasi di costruzione iniziano già a metà dicembre e la si termina la mattina del 16 gennaio con la posa di una “bandiera” con l’effigie del santo, dando così il via ai festeggiamenti. Oltre l’accensione della Fòcara, la festa novolese appare particolarmente ricca di eventi civili e religiosi: alla tradizionale benedizione degli animali e alla processione del santo, si aggiungono le due rassegne pirotecniche diurna e serale, i concerti bandistici, le luminarie e i caroselli di palloni aerostatici, che incorniciano una delle feste più rilevanti del Sud Italia.
Benedizione degli animali ad Acone
Ad Acone, piccolo paese collinare alle pendici di Monte Giovi, il 17 gennaio di ogni anno si rinnova la tradizionale benedizione degli animali con la celebrazione della messa e i festeggiamenti in onore di sant’Antonio.
La fiera di Sant’Antonio
Il 17 di gennaio di ogni anno a Lonato del Garda si svolge l’antica fiera di Sant’Antonio Abate cui è dedicata una chiesa del centro storico dove si conserva una statua lignea policroma quattrocentesca del Santo. Tra le varie celebrazioni molto sentita è la Benedizione degli animali che si svolge sul sagrato della chiesa. Il Palio di Sant’Antonio invece è una gara tra le contrade del centro e delle frazioni, solitamente otto, che si confrontano in giochi popolari. Il chisol è la focaccia tradizionale che si prepara per l’occasione (Sant’Antone chisoler è il modo di dire relativo). Sant’Antone porseler, invece, si riferisce al periodo buono per produrre salami e altri insaccati di maiale tipici come l’Os de stomech. Altri modi di dire: Sant’Antóne negosiànt de néff (Sant’Antonio negoziante di neve in quanto spesso nevica); Sant’Antóne dè la bàrbα biàncα fim troà chèl ché mé màncα (Sant’Antonio dalla barba bianca fatemi trovare quel che mi manca); Te sé come ‘l porsèl de Sant’Antóne (Sei come il porcello di Sant’Antonio, riferito a colui che non sta mai fermo o che accetta l’offerta da tutti come facevano i maiali di Sant’Antonio che girovagavano nei villaggi)

Proverbi e modi di dire[modifica | modifica wikitesto]

Esiste, riferita a sant’Antonio, una sorta di giaculatoria scaramantica, abbastanza diffusa a livello popolare, nella quale si invoca il santo per ritrovare qualcosa che si è smarrito. Questo modo di dire si trova nei luoghi dove c’è tradizionalmente maggiore devozione al santo, e si declina in modi differenti secondo i dialetti e secondo la tradizione.

Uno dei modi più strutturati si trova nel Comune di Teora[Nota 4], in Irpinia e dice: Sant’Antonij Abbat’ cu rr’ ccauz’ arrup’zzat’ cu lu cauzon’ dd’ vullut’ famm’ truvà quedd’ ch’ agg’ perdut’, traducibile letteralmente in italiano come “Sant’Antonio Abate, con le calze rappezzate, con i pantaloni di velluto, fammi ritrovare ciò che ho perduto”. In questa cittadina si tiene annualmente il “falò di Sant’Antuono” presso la chiesa di san Vito ove alloggia la statua di sant’Antonio abate.

Il riferimento all’abito di velluto diventa più generico, sempre al sud, nel detto “Sant’Antonio di velluto, fammi ritrovare quello che ho perduto”.

A Varese, in Lombardia, la festività di sant’Antonio abate – qui detto sant’Antonio del porcello – è molto sentita; qui il detto si declina in Sant’Antoni dala barba bianca famm’ truà che’l che ma manca, sant’Antoni du’l purscel famm’ truà propri che’l (ossia “sant’Antonio dalla barba bianca fammi trovare quello che mi manca, sant’Antonio del porcello (maiale) fammi trovare proprio quello”).

Più in generale, al nord l’espressione si limita a sant’Antoni dala barba bianca fam trua quel ca ma manca. Questo detto viene a volte riferito a sant’Antonio da Padova[9], ma il riferimento è chiaramente erroneo, dato che il santo di Padova è morto a 36 anni e difficilmente può aver avuto la barba bianca, né sembra sia mai stato rappresentato con la barba bianca.

In “serrano”, dialetto parlato nella cittadina di Serracapriola, in provincia di Foggia, si dice A sènt’Endòn ‘llong n’or (A sant’Antonio s’allunga un’ora), con riferimento al fatto che a partire dal 17 gennaio, memoria liturgica di Sant’Antonio Abate, la durata media del giorno, inteso come ore di luce, è di un’ora più lunga rispetto al giorno più corto, tradizionalmente fissato nel giorno di santa Lucia, ossia il 13 dicembre.

In Anzano di Puglia , in provincia di Foggia, si dice A sant’Antuon lu juorn è buon, con riferimento al fatto che la lunghezza del giorno in termini di presenza della luce è diventata consistente.

In Piemonte è invece diffusa l’espressione sant Antòni pien ëd virtù feme trové lòn ch’i l’hai perdu (ossia “sant’Antonio pieno di virtù fammi trovare quel che ho perso”), anche se in questo caso il detto non è chiaramente riferito all’uno piuttosto che all’altro santo.

In provincia di Bologna c’è l’invocazione Sant Antòni dal canpanén, an i é pan es an i é vén, an i é laggna int al granèr, la piṡån l’é da paghèr, Sant Antòni cum avaggna da fèr? (Sant’Antonio dal campanino, non c’è pane e non c’è vino, non c’è legna nel solaio, l’affitto è da pagare, Sant’Antonio come dobbiamo fare?).

Nel già citato Comune di Teora si usa dire Chi bbuon’ carnuval’ vol’ fà da sant’Antuon’ adda accum’enzà, (Chi buon carnevale vuole fare da sant’Antonio deve iniziare) e Sant’Antuon… masc’ch’re e suon (ovvero “Sant’Antonio….. maschere e suoni”). Si dice anche “Per sant’Antonio abate, maschere e serenate”.

Anche in Puglia a Manfredonia il 17 gennaio si festeggia Sant’Andunje, masckere e sune!(ovvero “Sant’Antonio, maschere e suoni”). È un evento molto importante per la città, infatti è la giornata che apre i festeggiamenti del Carnevale di Manfredonia.

In Veneto vige il detto a Nadal un passo de gal e a sant’Antonio un passo del demonio, riferendosi al progressivo allungamento delle giornate.

Nella tradizione contadina “umbro-marchigiana”, sempre in riferimento all’allungarsi delle giornate, si usa dire a Natale ‘na pedeca de cane a sant’Antò un’ora ‘vò (“a Natale un passo di cane a sant’Antonio un’ora in avanti”).

In Piemonte si dice: sant’Antoni fam marié che a son stufa d’tribilé (Sant’Antonio fammi sposare che sono stufa di tribolare), invocazione che le donne in cerca di marito fanno a sant’Antonio per potersi presto sposare.

In Napoletano si usa: Chi festeggia sant’Antuono, tutto l’anno ‘o pass’ bbuon. A Massaquano (NA) una simpatica filastrocca viene ripetuta in occasione della caduta dei denti da latte: Sant’Antuono Sant’Antuono, tecchet’o viecchio e damm’o nuov e dammell fort fort che me rosec n’o vescuott, e dammell accossì fort ca meggia rosecà n’o stant e port ( Sant’Antonio Sant’Antonio eccoti il vecchio – riferito al dente da latte che è caduto – dammi il nuovo. Dammelo forte forte da potermi rosicchiare un “biscutto” – pane fatto in casa molto duro – dammelo così forte da potermi rosicchiare l’architrave della porta).

A San Polo dei Cavalieri si dice: Sant’Antogno allu desertu se magnea li maccarùlu diavulu, pe’ despettu, glji ‘sse pià lu forchettò… Sant’Antogno non se ‘ncagna: colle mani se li magna!!! (Sant’Antonio nel deserto mangiava gli spaghetti, il diavolo per dispetto gli sottrasse la forchetta, sant’Antonio non se ne curò, mangiandoseli con le mani.); è una filastrocca che viene insegnata ai bambini del paese per far capire loro che la necessità aguzza l’ingegno e che con l’umiltà si può fare tutto.

Sant’Antonio[modifica | modifica wikitesto]

Nell’Italia Meridionale sant’Antonio Abate è comunemente chiamato sant’Antuono[10], per distinguerlo da sant’Antonio di Padova.

Pietrabbondante, in provincia di Isernia, si rinnova ogni anno la tradizione di accendere un colossale fuoco in piazza dove ci si raduna e fra canti e balli si gustano dei piatti tipici tramandati dai progenitori per i festeggiamenti in onore di sant’Antuono: R SQUATTON (pasta, broda, vino e pepe) R GRANIET (zuppa di legumi misti a cereali) R’ABB’LLIT (stinco, orecchie e muso di maiale) L’SC’RPPELL (dolci tipici simili alle frittelle).

Sant’Antonio in Campania[modifica | modifica wikitesto]

La tipica Battuglia di Pastellessa a Macerata Campania il 17 gennaio nel corso della Festa di Sant’Antuono.

In alcuni paesi della pianura campana (Macerata Campania e Portico di Caserta) in onore del santo i fedeli costruiscono “carri” detti “Battuglie di Pastellessa”. Molto spesso questi “carri” vengono costruiti in maniera da sembrare dei vascelli rifacendosi all’antica leggenda per cui Sant’Antuono avrebbe compiuto il suo viaggio dall’Africa su una barca. La popolazione del luogo è molto attaccata alla tradizione della sfilata, cui ogni anno prendono parte più di 1000 giovani; sui “carri” viene riproposta l’antica musica a pastellessa, nata a Macerata Campania in epoca antica, e gli strumenti utilizzati sono derivati da attrezzi per i lavori nei campi (botti, tini e falci) a causa del legame di tale festività con ancestrali ricorrenze pagane legate alla celebrazione della rinnovata fertilità della madre terra in concomitanza con i cicli astronomici che, fin dalla notte dei tempi, hanno influenzato il calendario delle pratiche agricole. In aggiunta il rito conserva un valore apotropaico, secondo la convinzione che i fuochi tradizionali e i rumori ossessivi e ruvidi prodotti dagli “strumenti” potessero spaventare e allontanare le presenze maligne che si credevano proliferate tutt’intorno durante la lunga notte invernale. Sant’Antuono è celebrato il 17 gennaio al Porticciolo situato nel quartiere Pastena a Salerno e lo si celebra con un falò. È anche patrono dei fornai e dei pizzaioli, che tenevano la sua statuetta sopra il forno a legna.

L’Ordine degli Antoniani[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Canonici regolari di Sant’Antonio di Vienne.

Nel 1088 i monaci benedettini dell’Abbazia di Montmajeur presso Arles (Provenza), vennero incaricati dell’assistenza religiosa dei pellegrini. Un nobile, un certo Gaston de Valloire, dopo la guarigione del figlio dal “fuoco di Sant’Antonio”, decise di costruire un hospitium e di fondare una confraternita per l’assistenza dei pellegrini e dei malati. Confraternita che si trasformò nell'”Ordine Ospedaliero dei canonici regolari di Sant’Agostino di Sant’Antonio Abate”, detto comunemente degli Antoniani.

L’Ordine nel 1095 venne approvato da papa Urbano II al Concilio di Clermont e nel 1218 confermato con bolla papale di Onorio III. La divisa degli Antoniani era formata da una cappa nera con una tau azzurra posta sulla sinistra, e con le loro questue mantenevano i loro ospedali dove curavano i pellegrini e gli ammalati.

Devozione popolare[modifica | modifica wikitesto]

Rappresentazioni sacre[modifica | modifica wikitesto]

Alla devozione popolare del santo sono associate benedizioni agli animali domestici, nonché ai prodotti dell’agricoltura e la sacra rappresentazione della sua vita, soprattutto nell’Italia centrale. La narrazione, con varianti territoriali, si svolge su questo schema: la scelta dell’eremitaggio nel deserto, la tentazione da parte dei diavoli, rossi e neri, e della donzella, interpretata da un uomo come nel teatro elisabettiano e un particolare elemento buffo. Infine l’arrivo risolutore dell’angelo dal caratteristico cappello conico, tipico delle figure con contatti soprannaturali come fate e maghi.

Nel finale, attraverso la spada, elemento simbolico mutuato dalla devozione all’Arcangelo Michele, l’angelo aiuta il Santo a sconfiggere il male e a tornare alla sua vita di preghiera. Sempre presente al termine della rappresentazione la questua, richiesta di “offerte” in vino e salsicce per i figuranti. Esistono numerose versioni nei dialetti locali e una versione in forma di operetta dei primi anni del Novecento. In Abruzzo si svolge la competizione del campanello d’argento, premio alla migliore rievocazione tradizionale, vinto nell’ultima edizione dal gruppo di Caramanico Terme.

Oltre al “Campanello d’argento” nella regione abruzzese, dall’anno 2009 vi è anche Lu festival di Sant’Andonie che si svolge a Tocco da Casauria (PE), vinta nell’edizione 2012 dal gruppo di Ortona (CH).

Altra festa in Abruzzo molto sentita dai cittadini si svolge a Fara Filiorum Petri (CH) dove il pomeriggio del 16 gennaio si svolge la manifestazione delle Farchie: al calar del sole vengono accesi dei fasci di canne lunghe 12 metri e di circonferenza di 70-100 cm che ogni contrada del paese comincia a preparare dal 6 gennaio.

Preparativi per la rappresentazione della vita di Sant’Antonio

Una festa dedicata a Sant’Antonio si svolge a Soriano nel Cimino (VT), in gennaio ed è caratterizzata dalla benedizione degli animali che in migliaia e di tutte le specie sfilano per il paese accompagnati dalla banda musicale e dal carro del “Signore della Festa”, eletto ogni anno, il quale offre presso la sua casa un rinfresco ai turisti. Inoltre, in occasione della festa di Sant’Antonio, a Soriano nel Cimino, vien preparato il caratteristico “Biscotto di Sant’Antonio” che per augurio e per tradizione viene fatto mangiare anche agli animali. Alla sfilata partecipano più di cento cavalli.

Scanno il culto al Santo egiziano è molto antico; infatti già dalla sera del 16 gennaio nella piazzetta antistante la chiesa a Lui intitolata viene acceso un falò in ricordo della vita di Sant’Antonio. Mentre il giorno 17 vengono distribuite le tradizionali “sagne con la ricotta” antico pasto dei poveri che veniva offerto agli indigenti del paese. Curioso è invece l’appellativo con cui viene chiamato Sant’Antonio: Barone; questo è spiegabile perché un tempo venivano dati appellativi a santi il cui culto era molto sentito.

Buti in provincia di Pisa la Domenica successiva al 17 gennaio si celebra il Palio di Sant’Antonio Abate (Palio di Buti) che affonda le sue radici nel XVII secolo, quando la benedizione delle stalle e dei cavalli del paese il 17 di gennaio rappresentava un’importante cerimonia religiosa. Il palio è incentrato su una corsa di cavalli condotti da fantini che, rappresentando le sette contrade in cui è suddiviso il paese, si sfidano in una gara il cui scenario è la strada principale di accesso all’abitato; insieme al Palio di Siena e al Palio di Asti, è uno dei palii a cavallo più antichi d’Italia. Alle 8.00 del mattino si celebra la S. Messa dei Cavallai al termine della quale sono tutt’oggi di rito trippa e vino. Alle 10.30 incomincia la sfilata storica: le contrade, precedute dal cavallo e dal fantino con i quali gareggeranno nel pomeriggio, attraversano le vie principali del paese dirette al sagrato antistante la Pieve dove insceneranno la rievocazione storica. Alle 14:00 incominciano le corse. Le contrade si sfidano correndo lungo la “Via Nuova”, la principale strada di accesso al paese, provenendo dalla vicina frazione di Cascine. Il percorso è abbastanza lineare, in salita, e appare dall’alto come una “S” allungata e rovesciata di circa 700 metri che per l’occasione viene ricoperta da uno strato di 40 cm di terra battuta composta principalmente da una miscela di tufo e sabbia. La gara si disputa in 3 distinte partenze, denominate “batterie” ovvero singole gare alle quali partecipano tre cavalli per volta, più una finale.

La domenica precedente avviene l’estrazione con cui le contrade vengono distribuite tra le prime due batterie, i cui vincitori accedono direttamente alla finale, mentre la settima contrada (denominata “la signora”) corre nella terza batteria sfidando i cavalli che sono arrivati secondi durante le gare precedenti. La finale determinerà il vincitore. Il Mossiere, figura storica nominata ogni anno dal Seggio, ha il compito principale di “dare la partenza” (in gergo definita “mossa”) una volta verificato l’allineamento dei cavalli al canape. Deve, inoltre, verificare la correttezza comportamentale dei fantini per tutta la durata della manifestazione punendo le eventuali scorrettezze, se necessario anche con la squalifica (in accordo con il Presidente del Seggio). Infine il Palio, detto anche Cencio e oggi dipinto di anno in anno da un artista di fama riconosciuta, viene consegnato nelle mani del fantino vincitore che a dorso del proprio cavallo viene condotto in trionfo per le vie del paese dai contradaioli in festa. L’anno successivo, durante una Messa celebrata la settimana prima della nuova gara, il Palio verrà restituito al Seggio, che lo custodirà fino alla nuova consegna.

Un’immagine della corsa del Palio di Buti in onore di Sant Antonio Abate.

Nicolosi il culto di S. Antonio Abate è molto sentito. La festa del 17 gennaio è una celebrazione liturgica, mentre ogni prima domenica di luglio, viene celebrata la “Festa Grande” dove il Simulacro ligneo di S. Antonio, posto su di un artistico fercolo, procede in processione per le vie del paese tirato dai giovani nicolositi con lunghi cordoni. Tradizionale è la benedizione degli animali, che si svolge la domenica mattina dopo l’uscita del Santo, dove gli animali domestici (cani, gatti, tartarughe ma anche cavalli e asini) vengono portati davanti alla statua del Santo e benedetti. Altro momento particolare della festa e molto sentito dagli abitanti di Nicolosi e A’cchianata a Sciara (La salita della sciara) dove S. Antonio, con il suo pesante fercolo, viene tirato da due lunghi cordoni gremiti di devoti in corsa su una ripida salita per rievocare i tragici eventi dell’eruzione del 1886, che minacciava di travolgere e seppellire il paese sotto la lava. In quell’occasione i nicolositi che videro arrivare il fronte lavico a pochi metri dal centro abitato, con fede portarono la statua e le reliquie di S. Antonio di fronte alla lava che pian piano travolgeva tutto, e miracolosamente per intercessione del Santo il fronte lavico si arrestò risparmiando il paese. Su quel fronte lavico, alla fine della salita alla sciara è stato eretto un altarino votivo in onore di S. Antonio per ricordare gli eventi del 1886, dove ogni anno a fine della faticosa salita i nicolositi ringraziano il loro Patrono della sua protezione.

Altra bella festa, sempre in provincia di Viterbo, si svolge a Bagnaia, una frazione del capoluogo laziale. Qui viene accesa un’enorme catasta di legna, alta oltre 8 metri per circa 30 metri di circonferenza, che brucia per tutta la notte compresa tra il 16 gennaio e il 17 gennaio.

Pietra Ligure (SV) al Santo è dedicata una antichissima compagnia dei patroni e dei capitani (ossia gli armatori e i comandanti delle imbarcazioni) la cui fondazione è antecedente al 1453 e nel corso della festa venivano benedetti gli animali. Nella antica parrocchiale di S. Nicolò è conservato un bassorilievo che anticamente si trovava sulla facciata della chiesa ed esisteva un altare dedicato ai SS Antonio e Paolo eremiti; nel 1791 la tela, dipinta dal pittore genovese Domenico Piola (1627-1703), fu traslata nella nuova Basilica in una grande cappella posta a sinistra dell’Altare Maggiore. In occasione della festa del Santo (adesso spostata alla domenica successiva) nel corso della Messa che si tiene nella Basilica di S. Nicolò, presenti tutti i Capitani avviene il passaggio annuale della bandiera al nuovo Capitano che la deterrà per un anno.

Statua di S.Antonio abate collocata sull’omonima chiesa tricaricese.

Altra importante manifestazione legata a Sant’Antonio abate si svolge a Tricarico (Lucania): essa testimonia l’assorbimento e quindi la cristianizzazione di riti precristiani. All’alba del 17 gennaio, Tricarico è svegliata dal suono cupo dei campanacci agitati dalle maschere delle mucche e dei tori che, dopo essersi radunate nel centro storico, si dirigono verso la chiesa di Sant’Antonio abate dove le attende il parroco che celebra la messa, aperta anche agli animali, e che al termine impartisce la benedizione, dopo la quale si compiono tre giri rituali intorno alla chiesa. La singolare “mandria”, subito dopo, parte per la “transumanza” verso l’abitato.

D’interesse è la sfilata delle “Battuglie di Pastellessa” che si tiene ogni anno a Macerata Campania (Provincia di Caserta) in occasione della ricorrenza liturgica del 17 gennaio, in cui viene riproposta l’antica tradizione della Pastellessa di Macerata Campania: botti, tini e falci vengono utilizzati come dei veri e propri strumenti musicali per produrre la caratteristica sonorità maceratese e si sostiene che i suoni prodotti scaccino gli spiriti maligni e servino a portare speranza per un buon raccolto[11].

Caratteristica risulta la festa che si svolge a Collelongo (AQ) nella notte tra il 16 e il 17 di gennaio. La festa incomincia la sera del 16 alle 18,00 con l’accensione dei due “torcioni”, torce in legno di quercia alte oltre 5 metri che arderanno tutta la notte.

Contemporaneamente in diverse case del paese allestite per l’occasione con arance e icone del santo viene posta sul fuoco la “cottora”, un enorme pentola nella quale viene messo a bollire parte del mais raccolto durante l’anno. La sera viene preparata la “pizza roscia”, una pizza cotta sotto la cenere composta da un impasto di farina di grano e di mais, condita con salsicce, ventresca e cavolo ripassato in padella. Alle 21 una fiaccolata con fisarmoniche e cantanti che intonano la canzone del santo accompagna il parroco del paese a benedire le case ove, sopra il fuoco del camino, fuma per tutta la notte la cottora. Chiunque entra nella cottora, fa gli auguri alla famiglia che la gestisce e gli viene offerto vino, companatico, mais bollito condito con olio e peperoncino, e dolci. Per tutta la notte, fino al mattino, il paese è animato da gente che canta, suona e gira di cottora in cottora. Alle cinque del mattino del 17, spari annunciano la sfilata delle conche “rescagnate”: si tratta di conche in rame, una volta usate per attingere l’acqua alla fonte, che addobbate con luci, piccole statue e scene di vita contadina, vengono portate in sfilata da giovani del paese vestiti nei tradizionali costumi popolari di festa. Alle sette incomincia la santa messa e viene distribuito il mais benedetto bollito delle cottore per distribuirlo agli animali domestici. La festa si conclude il pomeriggio con i classici giochi popolari.

Sempre in Abruzzo, è da ricordare la rievocazione de Lu Sant’Andonie che si svolge ogni anno a Villa San Giovanni di Rosciano, nel campagne del pescarese, a cura della locale Associazione culturale La Panarda. Nel pomeriggio del sabato precedente al 17 gennaio sul sagrato della chiesa parrocchiale si ripropone la sacra paraliturgia per la benedizione degli animali e dei prodotti della terra, mentre in serata, nella piazza principale del paese, attorno a un grande fuoco si esibiscono gruppi di teatranti popolari rievocanti le scene de “Le tentazioni di Sant’Antonio”, con canti e poesie dialettali sul Santo e sulle tradizioni contadine del periodo invernale. Al termine, porchetta, salsicce e vino per tutti gli intervenuti.

Ancora in Abruzzo, a Lettomanoppello si rievoca ogni anno lu Sant’Andonije che è una rappresentazione sacra della vita del santo composta e musicata da un poeta dialettale lettese (di Lettomanoppello), il Prof. Gustavo De Rentiis, scomparso nel 1994. Si tratta di una vera e propria storia sacra (a differenza delle altre rappresentazioni abruzzesi a volte goliardiche) che vede la partecipazione degli eremiti, di Sant’Antonio Abate, di due angeli e di due demoni che dopo alcune tentazioni agli anacoreti vengono cacciati all’inferno, grazie alla preghiera. a Scanno (Aq), il 17 gennaio viene festeggiato Sant’Antonio Abate con l’appellativo di Barone, dopo la Santa Messa solenne celebrata nella chiesa dedicata al Santo, viene benedetta una tipica minestra locale “Le sagne con la ricotta”, una pietanza distribuita anticamente ai poveri del paese. Essa è formata da una pasta a forma di striscioline condita con ricotta, lardo ecc. Anticamente, subito dopo la festa di Sant’Antonio Abate, venivano dichiarati aperti i festeggiamenti per il Carnevale. A Offida (AP) la festività di Sant’Antoniə del il 17 gennaio sancisce l’inizio del periodo carnascialesco. Intonando Sant’Antoniə, Sant’Antoniə, lu n’mich’ d’ lu d’mòniə (Sant’Antonio, Sant’Antonio, il nemico del demonio) alcuni gruppi folkloristici si riuniscono, girando per il paese e omaggiando il santo tanto caro alla tradizione rurale ascolana.

La festa di Sant’Antonio Abate è molto sentita a Colli a Volturno (provincia di Isernia), dove il 16 gennaio le case del paese vengono visitate da gruppi di tredici questuanti che, percorrendo le strade del paese e delle frazioni, sotto le sembianze di monaci, intonano un antico canto in onore del Santo eremita. I figuranti interpretano la persona del Sant’Antonio, in groppa a un asino, e di altri dodici monaci rievocando la “cerchia” ossia la questua di porta in porta dalla quale tradizionalmente gli appartenenti ai movimenti pauperistico-religiosi traevano sostentamento. Alle capacità d’interpretazione dei tredici attori, i quali accompagnano con il suono di semplici strumenti la recita, è affidato gran parte del risultato scenico della rappresentazione, così come la possibilità di trasformarla in una “drammatizzazione buffa”. Finita la lunga questua, i diversi gruppi raggiungono il falò, dove i festeggiamenti si protraggono fino a tarda notte.

Tufara, un paesino al confine tra Molise e Puglia, la notte tra il 16 e 17 gennaio vengono accesi dei grandi falò dedicati al santo e vengono chiamati i Fuochi di sant’ Andone. È una festa molto sentita all’interno del paese.

Di grande importanza la festa di Sant’Antonio abate che si svolge la domenica più vicina al 17 gennaio a Monterotondo e a Mentana, due paesi alle porte di Roma. La festa è organizzata dalla Pia Unione. Ogni anno una famiglia monterotondese e una mentanese ospitano le statue del Santo nella propria abitazione e la terranno aperta alle visite dei devoti. La domenica in cui si festeggia Sant’Antonio la statua viene prelevata dalla casa in cui si è trovata per l’intero anno e viene portata per tutte le chiese del paese. Tale rito si svolge a cavallo: aprono la cavalcata tre cavalli con in sella al centro chi ospiterà da quel giorno per un anno intero la statua del Santo, a destra e a sinistra chi lo ha ospitato l’anno precedente e chi lo ospiterà l’anno successivo; seguono una schiera di cavalli tutti bardati con fiori e altri addobbi, infine la carrozza, con sopra la banda del paese che suona delle musiche specifiche per l’occasione. Quando il Santo arriva a una chiesa il parroco di questa esce sul vestibolo e dà la benedizione agli animali. La sera si svolge la Torciata, dove, in processione, si accompagna il Santo dalla Cattedrale del paese alla nuova abitazione che lo ospiterà. Aprono la processione i torciari (coloro che portano le torce) che canteranno e balleranno durante tutto il percorso e la chiude il Santo con la banda. Durante questa giornata gli abitanti usano portare un gilet nero, una camicia bianca e un cappello da carrettiere double face: nero durante la mattina, quando la festa è prettamente religiosa, e rosso la sera, quando festa diventa più mondana; il cappello ritorna nero quando il Santo entra nella nuova casa. La torciata è conclusa dai fuochi d’artificio con la visita al Santo nella nuova abitazione.

Un’altra notevole manifestazione è la “Festa dei Ceri” dove Sant’Antonio viene trasportato a spalla insieme ad altri due santi (Sant’Ubaldo, Patrono della città e San Giorgio) fino alla cima del monte. La festa si tiene a Gubbio (PG) il 15 maggio.

Varese, nel rione della Motta, la festa in onore del Santo si svolge tra il 16 e il 17 gennaio. La sera del 16 di gennaio, nella piazza antistante il sagrato della Chiesa della Motta, dedicata appunto al Santo, si tiene il tradizionale “falò di sant’Antonio” a cura dell’associazione dell’associazione dei “Monelli della Motta“; il mattino del 17 all’interno della medesima chiesa si tiene la benedizione degli animali e, da qualche anno, sul sagrato, il lancio dei palloncini da parte dei bambini delle scuole elementari della città.

A Napoli, sant’Antuono viene festeggiato durante la benedizione degli animali con un falò acceso al di fuori della sua antica chiesa.

Lonato del Garda (BS), pur non essendo sant’Antonio abate il patrono della città, è festeggiato con una Fiera secolare che è l’appuntamento più importante dell’anno e che ha il momento più significativo nella benedizione degli animali sul sagrato della chiesa dedicata al Santo. In suo onore viene anche disputato il Palio delle numerose contrade del Comune. Il dolce tipico della festa è la ciambella (chisöl) che, secondo la tradizione, come condimento contiene strutto di maiale.

Troina (EN) sant’Antonio abate viene festeggiato con due feste durante l’anno, la festa liturgica che si svolge il 17 gennaio con i “Pagghiara”, enormi falò che vengono eretti in tutti i quartieri del paese e dove si allestiscono tavolate con molte leccornie tipiche del paese che vengono offerte alle persone che visitano i falò. La seconda festa, con solenne processione del fercolo e della Reliquia di sant’Antonio abate, si svolge nella seconda settimana di luglio con la partecipazione di molte Confraternite di sant’Antonio abate di altri paesi limitrofi.

San Marco in Lamis (Foggia), presso la parrocchia a lui intitolata, dopo la celebrazione vespertina sul sagrato della Chiesa vi è la benedizione degli animali domestici. Secondo antica tradizione la festa di sant’Antonio abate segna l’inizio del Carnevale. Da qui un detto: “a sant’Antonio maschere e suoni”.

Filattiera (MS) nella sera del 16 gennaio si celebra la festa di S. Antonio Abate. Come oramai da tradizione alle ore 18,00 dopo la funzione religiosa e la processione del Santo con il tocco della prima campana si procede con l’accensione dei fuochi disposti nelle località comunali della “Porta” e in località “Volpino”. Nel centro storico, alla “Porta”, accanto al castello malaspianiano all’ingresso del borgo, i filattieresi si riuniscono per festeggiare goliardicamente il santo, tutti intorno al fuoco a cuocere salsicce e costine con canti e balli in compagnia di buon vino. Secondo una leggenda la notte del 16 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio. Tutt’oggi i contadini prendono un tizzone ardente e lo pongono nelle stalle a protezione del bestiame.

Sant’Antoni ‘e su fogu[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Sant’Antoni ‘e su fogu.

In varie località della Sardegna si svolge la festa di Sant’Antoni ‘e su fogu con l’allestimento di varie tipologie di falò da bruciare in onore del santo.

In alcuni centri (come Mamoiada e Ottana, nei dintorni di Nuoro) la festa è l’occasione nel quale si inaugura il carnevale, con la prima uscita delle maschere tradizionali.

Chiese dedicate a sant’Antonio Abate[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di Sant’Antonio Abate.

Ospedali dedicati a sant’Antonio Abate[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Ospedale di Sant’Antonio abate.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Questo attributo si può ricollegare all’usanza dei monaci di Sant’Antonio di allevare maiali tenuti in libertà, riconoscibili per un campanello attaccato al collo o ad un orecchio.
  2. ^ Due leggende stanno alla base dell’iconografia: la prima, che il maiale era in realtà un demone che aveva tentato il Santo e che fu da questi sconfitto e costretto a seguirlo sempre docilmente nelle sembianze di un maiale; la seconda vuole che un volta il Santo avesse curato e guarito un maiale e questi, da allora, l’avrebbe sempre fedelmente seguito. Vedi: Alfredo Cattabiani, Calendario, ed. Rusconi, 1991, p. 130. ISBN 88-18-70080-4. Pare comunque che gli antoniani allevassero i maiali per contribuire al sostentamento degli ospedali da loro gestiti. (vedi Cattabiani,op. cit., p.131).
  3. ^ Questo attributo richiama alla mente la regola scritta dal santo per i monaci.
  4. ^ Il Comune di Teora è noto per la mitica maschera de “Lì Squacqualacchiun” rappresentata in occasione della sagra de “La Tomacella” di maiale e tarallucci scaldatelli detti: Tarall’ senz’ov’

Riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Mt 19,21
  2. ^ Melchiorre Trigilia, Ilarione: Il Santo vissuto a Cava d’Ispica, Trigilia Cultura 1982, p.11
  3. ^ André Chastel, Luigi d’Aragona. Un cardinale del Rinascimento in viaggio per l’Europa, Laterza.
  4. ^ A. Foscati, “I tre corpi del santo. Le leggende di traslazione delle spoglie di sant’Antonio Abate in Occidente”, in Hagiographica, XX (2013), pp. 143-181.
  5. ^ M. C. Carratù, Recensione del libro “Dall’eremo alla stalla. Storia di sant’Antonio Abate e del suo culto” di Laura Fenelli (Laterza, 2011), in La Repubblica, 28 giugno 2011. URL consultato il 4 febbraio 2016.
  6. ^ Pierluigi Palladini, La notte di Sant’Antonio. Da Coma in Egitto a Collelongo. I misteri e il fascino del santo della gente, Marsica Web. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  7. ^ Sandro Valletta, Festa di Sant’Antonio abate, Terre Marsicane, 13 gennaio 2013. URL consultato il 14 gennaio 2018 (archiviato dall’url originale il 14 gennaio 2018).
  8. ^ Festa di Sant’Antonio Abate con le cottore, i cicirocchi e le ragazze rescagnate, MiBACT. URL consultato il 15 gennaio 2018.
  9. ^ Sant’Antonio da Padova: Storia e Ostensione del Santo, su apadova.info. URL consultato il 17 gennaio 2013 (archiviato dall’url originale il 3 novembre 2012).
  10. ^ Enrico Schiavone, Montemurro perla dell’Alta Val d’Agri, Comune di Montemurro, 1990.
  11. ^ Associazione Sant’Antuono & le Battuglie di Pastellessa – I Bottari di Macerata Campania (Caserta)

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • S. Athanasius. Vita di Antonio. introduzione di Christine Mohrmann, testo critico e commento a cura di G. J. M. Bartelink, traduzione di Pietro Citati e Salvatore Lillao. Milano, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori editore, 1998. ISBN 88-04-11183-6
  • Antonio il Grande. Secondo il vangelo. Le venti lettere di Antonio. Matta el Meskin (a cura di), Comunità di Bose, 1999. ISBN 88-8227-046-7
  • Athanasius, Vita Antonii. Ed. G.J.M. Bartelink. Paris 2000. Sources Chrétiennes 400.
  • Butera Vittoria, La fuga nel desertoGezabele editore, Falerna, 2003, pp. 120, ISBN 88-900919-8-3.
  • Luciano Vaccaro, Giuseppe Chiesi, Fabrizio Panzera, Terre del Ticino. Diocesi di Lugano, Editrice La Scuola, Brescia 2003, 32, 70nota, 89, 110, 232, 234-236, 261, 272, 300, 301, 308, 369nota, 414, 416, 437, 449.
  • Ferrara Orazio. L’ordine cavalleresco medievale del “Fuoco Sacro” (Cavalieri e ospitalieri nel nome di Sant’Antonio Abate) – in Santini et Similia, Anno X, nº 39, 2005.
  • Traduzione di Evagrio: P.H.E. Bertrand, Die Evagriusübersetzung der Vita Antonii: Rezeption – Überlieferung – Edition. Unter besonderer Berücksichtigung der Vitas Patrum-Tradition. Utrecht 2005 [dissertation] [testo critico e commento: http://igitur-archive.library.uu.nl/dissertations/2006-0221-200251/index.htm]
  • L. Fenelli, Dall’eremo alla stalla. Storia di sant’Antonio abate e del suo culto, Roma-Bari 2001. ISBN 978-88-420-9705-1

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