Ordinato sacerdote nel Duomo di Torino il 29 giugno 1935 e oblato di Montecassino,
dal 1944 al 1956 passa “anni splendidi” come lui stesso scrive, accanto al Servo di
Dio mons. Giovanni Battista Pinardi parroco di San Secondo. Nel 1950 si laurea
all’Università Cattolica di Milano. Il 6 dicembre 1959, don Italo entra parroco a San
Massimo, “fino al 1984. Nel 1984 è nominato Canonico del Duomo e può riprendere i suoi studi e
le sue ricerche storiche di storia diocesana e monastica. Fin dal 1948 si occupa di storia ospedaliera
e raccoglie una infinità di materiali che pubblicherà nel volume di “Storia ospedaliera antoniana”.
Collabora per oltre 40 anni ai settimanali diocesani e ad altre testate mentre continua l’adesione
alle iniziative in memoria e suffragio dei caduti in guerra, portando sempre nel cuore “gli otto
cappellani della mia Divisione Torino sul fronte russo” e le terribili vicende della ritirata. È sempre
disponibile alle più svariate richieste di ministero spesso in altre diocesi lungo uno straordinario
cammino ecclesiale, missionario ed ecumenico: “Ho avuto la grazia di conoscere meglio la vita
della chiesa di ieri e di oggi”. Si occupa delle comunità e delle chiese “separate” durante viaggi in
Europa Orientale, Medio Oriente, Est Africa e America Latina. Ritorna in Argentina con cadenza
annuale “no a quasi 100 anni per benedire la sua famiglia emigrata a Buenos Aires.
Don Italo ha partecipato attivamente “n dalla sua
costituzione alla vita e alle vicende dell’Associazione Amici della Sacra di San Michele rincuorando,
confortando, sostenendo e indicando la via a tutto il
consiglio direttivo come cappellano dell’associazione, come vicepresidente, come ricercatore e storico,
anche in anni difficili e di contrasto.
Ha diretto e coordinato “n dal 1995, con spirito
battagliero, ben 8 volumi della collana Il Millennio composito di San Michele della Chiusa.
Documenti e studi interdisciplinari per la
conoscenza della vita monastica clausina.
Valente e meticoloso studioso di storia e di
storia ecclesiastica in particolare, alzando lo
sguardo dal suo amato Sant’Antonio di Ranverso così vivo di ricordi degli Antoniani,
don Ruffino non poteva sfuggire al fascino
della Sacra di San Michele di cui si occupò
ancora prima della nascita dell’associazione
degli Amici. Tutti i volumi editi con il suo
coordinamento parlano di quegli anni, in cui
ci consigliò, ci guidò, ci spronò.
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Ultimo ricordo dei suoi anniversari
58 Quaderno del volontariato culturale
Amici della Sacra di San Michele
Non voglio in questa sede raccontare le
molte serate, gli incontri, le discussioni, gli
episodi che caratterizzarono la sua presenza
in associazione.
Non voglio raccontare di come lo aiutammo
in tutti i modi, quando dovette lasciare l’appartamentino che occupava nella “sua” chiesa di
San Massimo (e i cani dell’allora parroco!) per
trasferirsi nella Casa del Clero di corso Benedetto Croce, quando trasportammo “montagne di libri, attaccammo in cifre
alle sue canottiere e alle sue mutande perché
nella nuova abitazione non si confondessero
con quelle di altri sacerdoti…
Non voglio descrivere i festeggiamenti per i suoi 50 anni di messa… e poi per i suoi 60
anni… e poi per i suoi 70 anni.
Non voglio riproporre alla memoria i viaggi in giro per l’Europa sulle tracce di storia
sacrense, le sue apparizioni a casa nostra, a qualsiasi ora, dove cominciava a togliersi un
paltò dopo l’altro, una sciarpa, una, due maglie (si vestiva “come una cipolla” diceva lui)…
di tutto questo e di tanto altro ancora non voglio parlare, che questo numero del Quaderno
non basterebbe.
Voglio invece ricordare una pagina poco nota che mi raccontò, quando io ero impegnato
a scrivere su mio Padre e sulle sue attività clandestine durante il periodo della Resistenza
contro i tedeschi.
Era, in allora, già vice-parroco di San Massimo, ai tempi del parroco don Pompeo Borghezio. La chiesa era nota per l’ospitalità che sempre offriva, nei sottotetti, a quanti fossero
ricercati dai tedeschi o dai fascisti di Salò. In particolare rimase impresso a don Ruffino
Giuseppe Panek, sergente cecoslovacco che parlava ben 7 lingue.
Ecco, di lui don Ruffino mi raccontò, della radio con la quale il Panek comunicava con i
partigiani e con il Comando Alleato del generale Clark. Panek, dopo mezzo secolo, tornò
nella chiesa di San Massimo, accolto con gioia da don Ruffino, ormai parroco. Don Ruffino
si animava e in qualche modo si vedeva che con la mente tornava a quegli anni, quando
mi raccontò questo episodio, ricordando come rividero insieme l’angolo della lavanderia
che era servito da giaciglio al cecoslovacco, come si affacciarono nuovamente, dal sottotetto, nell’interno della colonna cava dell’altare di san Giuda, dove veniva ingegnosamente
nascosta la preziosa radio…
Un piccolo episodio, nulla a confronto con il suo libro Bianco, Rosso e Grigioverde dove
lo stesso don Ruffino ha “scritto su carta quegli episodi agghiaccianti che ogni tanto ci
raccontava, per animarci, per spronarci… per farci inorridire!
Questo era don Rufino, un “duro” (avrebbe potuto sopravvivere alla ritirata di Russia,
se non lo fosse stato?) un uomo che nella vita, come tanti della sua generazione, ne aveva
viste di tutti i colori, uno storico intransigente, ma anche un Sacerdote mai dimentico
della sua missione.
Fabrizio Antonielli d’Oulx
rilevatore Ersilio Teifreto