Storia di Sant’Antonio di Ranverso la Precettoria ,l’Ospedale , la Stadera Ranverso ,l’Abbazia, il Presbiterio poligonale, la Stele ottagnale tutto il comprensorio Precettoria la Chiesa Abbaziale.

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Storia del sito:
Il nome Ranverso deriva dalla fusione di due parole, “rio inverso” (ruscello all’inverso, cioè a nord, all’ombra, contrapposto a indritto, a sud, al sole).
Il complesso di Sant’Antonio di Ranverso come si presenta attualmente si è venuto formando nel corso dei secoli; esso comprende, oltre alla chiesa, anche l’ospedale, il convento, alcuni mulini e le cascine in cui risiedevano i fittavoli che coltivavano i terreni appartenenti alla Precettoria. La sua economia si fondava sui proventi delle terre coltivate e dei pascoli; i possedimenti, la cui origine sta in una donazione agli Antoniani da parte del beato Umberto III conte di Savoia, andarono ampliandosi con gli anni grazie ad acquisti, lasciti testamentari e donazioni, tanto che S. Antonio di Ranverso divenne una potenza economica, anche se non paragonabile alla vicina Sacra di San Michele, che vantava dipendenze, oltre che in Italia, anche in Francia e in Spagna.
La chiesa venne fondata in prossimità della via Francigena che, giungendo da Rivoli, passava sotto le mura del complesso religioso per poi dirigersi verso Avigliana; essa, attraverso la Val di Susa e i passi del Moncenisio e del Monginevro, collegava la Francia con la pianura padana e, passando per l’Italia centrale, con Roma. La scelta della località è stata determinata dagli scopi che il complesso religioso si prefiggeva: l’accoglienza ai viaggiatori e ai pellegrini che percorrevano la via Francigena, e in particolare la cura dei malati, testimoniata dalla presenza dell’ospedale. La malattia che si curava in modo specifico era l’ergotismo, detto anche fuoco di Sant’Antonio; questo spiega perché Umberto III di Savoia, fondatore della Precettoria, abbia chiamato a risiedervi gli Antoniani, appartenenti ad un ordine ospedaliero fondato in Francia nel 1095 da un nobiluomo francese, il cui figlio era stato guarito da questa malattia. Gli Antoniani si occupavano particolarmente della cura di questo morbo (che si manifesta come un’infezione cutanea), molto diffuso tra i poveri per motivi dovuti alla loro alimentazione: il fuoco di Sant’Antonio infatti era provocato soprattutto dall’ingestione di segale cornuta (veniva così chiamata la segale contaminata da un fungo, nella quale si sviluppava un alcaloide che provocava l’infezione). Gli Antoniani in origine erano infermieri e frati laici; solo nel 1297 divennero ordine di canonici, aderendo alla regola di Sant’Agostino. La sede dell’ordine antoniano era in Francia, a La Motte St. Didier (ora Bourg St. Antoine) in Delfinato, dove nel 1080 le reliquie di sant’Antonio erano state trasportate da Costantinopoli; Sant’Antonio di Ranverso era una Precettoria, cioè una fondazione dipendente dalla casa madre, la chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du-Viennois.
Gli Antoniani usavano il grasso di maiale come emolliente per le piaghe provocate dalla malattia e per questo motivo erano stati autorizzati dal papato ad allevare maiali nei loro possedimenti: questo giustifica la raffigurazione di questi animali in uno degli affreschi all’interno della chiesa. La particolare natura del male curato (il fuoco, cioè un’infiammazione che colpisce i gangli delle radici nervose spinali), e le sue conseguenze (la cancrena con la frequente amputazione degli arti inferiori) spiegano il ricorrere negli affreschi di una fiamma stilizzata e di una ‘tau’, la lettera greca τ, simbolo che è stato adottato dagli Antoniani perché, oltre a ricordare la croce, rappresenta la stampella usata dagli ammalati; inoltre la ‘tau’ allude alla parola thauma, che in greco antico significava “prodigio”. Accanto a questi due simboli compare anche una campanella, con la quale gli Antoniani annunciavano il loro arrivo durante gli spostamenti.

Descrizione del sito:
La chiesa, inizialmente costruita in stile romanico, in seguito alle trasformazioni subite ha assunto forme gotiche, che culminano nel gotico tardo dell’ultimo intervento. La facciata attuale, che risale al XV secolo, è a capanna e presenta tre portali con archi a sesto acuto a cui si sovrappongono le ghimberghe, sormontate da un pinnacolo. La ghimberga centrale non è in asse con la facciata, ma spostata verso la destra di chi guarda, in modo tale da non coprire completamente il rosone, testimoniando così che le ghimberghe costituiscono un’aggiunta posteriore; esse risalgono infatti all’ultima grande sistemazione della chiesa, avvenuta per opera di Jean de Montchenu, cellerario (cioè amministratore) della Precettoria dal 1470 al 1497 (un suo omonimo aveva rivestito la medesima carica dal 1430 al 1458). Ai lati della ghimberga centrale si aprono due finestre monofore, situate in corrispondenza del cosiddetto coro d’inverno dei monaci, soprastante il nartece. La facciata è abbellita e movimentata da una ricca decorazione in terracotta, fatta mettere in opera dallo stesso Jean de Montchenu, che fece apporre il suo stemma (un’aquila) all’interno della ghimberga centrale. Questo tipo di decorazione rappresenta la fusione di creazione artistica ed esecuzione artigianale: infatti gli elementi decorativi ideati dall’artista (foglie, rami, frutti, fiori, serie di archetti…) venivano riprodotti in formelle tramite stampi, che consentivano di ripetere innumerevoli volte i motivi ornamentali. A Sant’Antonio di Ranverso sono state così create cornici per ornare i portali, le ghimberghe, le finestre, il rosone della facciata, ma anche i coronamenti del tetto, i pinnacoli, i fianchi della chiesa, l’abside, il campanile. La facciata presenta inoltre una decorazione dipinta a motivi geometrici, eseguita agli inizi del XVI secolo; essa è stata ripristinata nel corso del recente restauro, che ha recuperato anche le due ‘tau’ affrescate al di sopra delle monofore. L’abside poligonale, risalente all’ultima sistemazione della chiesa, è rinforzata da alti contrafforti, che sono sormontati da pinnacoli.

I tre portali della facciata danno accesso a un portico o nartece, eretto intorno alla metà del XIV secolo. Esso è coperto con volte a crociera, la mediana delle quali è decorata con affreschi cinquecenteschi; la scena più facilmente leggibile rappresenta la nave che trasporta da Costantinopoli alle coste francesi il corpo di sant’Antonio, che sarà poi sepolto nella chiesa di La Motte St. Didier in Delfinato. Le volte sono sostenute da pilastri con capitelli e da mensole, tutti realizzati in pietra verde, che crea un contrasto cromatico con il rosso delle strutture in cotto; sia i capitelli sia le mensole, scolpiti da un anonimo artista piemontese intorno al 1350, sono ornati con teste umane, animali e mostri, secondo l’usanza diffusa nel Medioevo. Dal portico si accede alla chiesa, oltre che da una piccola porta laterale che dà nel chiostro, da tre portali; nella lunetta del portale centrale si trova un affresco risalente alla fine del XV secolo, che raffigura una Madonna con Bambino tra S. Giovanni Evangelista e un altro Santo, con angeli sullo sfondo.

All’inizio della strada che si diparte davanti alla chiesa, sulla destra si trova la facciata dell’ospedale, che è tutto quanto resta dell’edificio, costruito alla fine del XV secolo, in cui gli Antoniani ospitavano e curavano i malati. Essa ha la forma a capanna, con un portale centrale con arco a sesto acuto e ornato da un’alta ghimberga, una porta a destra e una finestra a sinistra, anch’esse con arco a sesto acuto. La facciata presenta una ricca decorazione in cotto, estesa anche ai pinnacoli che si ergono sul coronamento. Alla parte interna della facciata agli inizi del XX secolo è stato addossato un rustico, mentre nel luogo in cui era situato il fabbricato dell’ospedale, nei primi decenni del XVIII secolo è stata costruita una cascina; al di sopra delle finestre del primo piano di questo edificio è dipinta la lettera ‘tau’, mentre a un’estremità si trova un orologio solare con la scritta Sine sole sileo (senza il sole taccio).

L’interno è a tre navate divise da pilastri che sostengono archi a sesto acuto e volte a crociera. L’impressione di asimmetria e irregolarità che esso suscita trova la sua spiegazione nelle diverse fasi costruttive, attraverso ampliamenti successivi che hanno attribuito a Sant’Antonio di Ranverso il suo aspetto odierno. La chiesa primitiva, iniziata nel 1188, era ad una sola navata con un’abside semicircolare. Queste ridotte dimensioni presto però non furono più sufficienti, dato l’incremento del numero dei fedeli e l’accresciuto prestigio e potere della Precettoria; si ebbe così nel XIII secolo il primo intervento, con la trasformazione dell’abside in presbiterio a pianta quadrata coperto da una volta a crociera. Nel corso del XIV secolo venne attuato un imponente piano di ampliamento della chiesa: nella prima metà del secolo vennero costruite le cappelle del lato settentrionale; nella seconda metà venne edificato un nuovo presbiterio a pianta quadrata più grande del precedente, coperto da una volta a crociera, fu costruita la cappella ora adibita a sacrestia (in origine forse cappella funeraria od oratorio destinato ai pellegrini) a cui si accede dal lato destro del presbiterio e dalla navata meridionale, la navata centrale ricevette una copertura con volte a crociera impostate su pilastri; infine venne eretta la navata meridionale; durante il XV secolo venne aggiunto il coro d’inverno dei monaci al di sopra del portico esterno, Gli ultimi interventi risalgono alla fine del XV secolo e sono dovuti a Jean de Montchenu, il quale fece costruire l’abside poligonale e rifare la volta del presbiterio.

Al fianco meridionale della chiesa è addossato un piccolo chiostro, di cui rimane solo un lato; è stato costruito nel corso dell’intervento architettonico dovuto a Jean de Montchenu e risalente alla fine del XV secolo. Esso è coperto da volte a crociera e si apre sul giardino con archi sostenuti da massicci pilastri in mattoni, cui sono addossate semicolonne.

Anche gli affreschi, così come la struttura architettonica, risentono degli interventi che si sono succeduti nella Precettoria nel corso dei secoli. Sulla parete all’inizio della navata destra un affresco staccato del XVII secolo rappresenta lo sposalizio mistico di santa Caterina. In fondo alla navata la cappella di san Biagio è ornata con affreschi attribuiti al maggior esponente del gotico internazionale nello stato sabaudo, il pittore torinese Giacomo Jaquerio (1375 circa – 1453): ai lati della finestra di fondo sono rappresentati santa Barbara e due Santi, sulla parete destra e sopra l’arcata scene della vita di san Biagio. A questo proposito la Griseri soffermandosi sul miracolo del bambino liberato dalla spina e sulla scena di san Biagio tra gli animali (i due affreschi del registro superiore), sottolinea il patetismo e l’intimismo della rappresentazione, nella quale la resa degli stati d’animo prevale sulla narrazione dei fatti. Su una delle due volte della cappella sono rappresentati i simboli dei quattro Evangelisti, mentre all’interno di un medaglione è dipinto un ritratto, che secondo alcuni rappresenterebbe lo stesso pittore.
Nel lato sinistro della navata centrale, sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella, un affresco quattrocentesco raffigura la Madonna con il Bambino tra san Bernardino da Siena e sant’Antonio abate, il quale presenta una donna inginocchiata (moglie di Eugenio Raspa, committente dell’affresco) di nome Bianchina, come ricorda l’iscrizione sottostante; al di sotto vi sono alcuni affreschi duecenteschi: una natività, i santi Pietro e Paolo con il Cristo benedicente, la cui figura è stata tagliata in seguito all’apertura dell’arcone. Sopra l’arcata che segue la base del campanile si trovano un altro Cristo benedicente fra i simboli degli Evangelisti e sei Apostoli: gli affreschi sono molto deperiti e risalgono agli inizi del XIV secolo.
Nella prima cappella della navata sinistra sono affrescati episodi della leggenda della Maddalena, risalenti al 1395 ed eseguiti molto probabilmente da Pietro da Milano, autore, insieme ai suoi discepoli, della decorazione tardo trecentesca della Precettoria; sulla parete di fondo è dipinta una Crocifissione.
Nella seconda cappella della navata sinistra (così come nella prima e nell’ultima) rimangono tracce di una decorazione tardo trecentesca consistente in un velario ricamato.
Nella cappella al termine della navata sinistra è rappresentato un ciclo di storie della Vergine, attribuite a Jaquerio che iniziano dalla parete a destra rispetto alla finestra laterale con l’Annunciazione, proseguono ai lati dell’arcone d’ingresso alla cappella con la Visitazione e la Natività, mentre sulla parete di fronte all’altare in due registri sovrapposti sono dipinte l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al tempio; sulla sinistra della finestra è affrescata la Dormitio Virginis, mentre negli sguanci della stessa finestra sono ritratti sant’Eutropio a sinistra e san Dionigi a destra. Gli affreschi sono stati scoperti durante il restauro condotto nel 1910, che ha eliminato l’imbiancatura che li ricopriva. Le pitture, già in cattivo stato di conservazione, sono state in alcuni casi ulteriormente danneggiate dalla eccessiva raschiatura che, oltre ad eliminare la vernice sovrapposta, talora ha asportato anche strati di colore.
Gli affreschi del presbiterio hanno una grande importanza, non solo artistica, ma come documento dell’attività di Jaquerio: infatti sono l’unica opera firmata dal pittore torinese tramite un’iscrizione scoperta, insieme agli affreschi, durante il restauro nel 1914; essa è posta sopra la fascia inferiore dei dipinti sulla parete settentrionale e recita: “[picta] fuit ista capella p[er] manu[m] Iacobi Iaqueri de Taurino”. La decorazione pittorica, come appare attualmente, è molto diversa da quella originaria: infatti alla fine del XV secolo, per permettere la costruzione dell’abside e delle nuove volte, furono distrutte la parete terminale del presbiterio e le volte antiche, eliminando così una parte consistente degli affreschi jaqueriani.
Secondo il Castelnuovo la parete settentrionale del presbiterio presenta una decorazione coerente e un rapporto molto studiato con l’architettura: nella zona centrale, tra le due finestre, è rappresentata la Vergine con in braccio il Bambino che si sporge verso un donatore inginocchiato; la Vergine è seduta su un trono e alle sue spalle due angeli reggono un tendaggio, mentre il trono è situato all’interno di una complessa struttura architettonica di stile gotico sormontata da alte cuspidi. Le finestre ai lati della scena centrale, che erano state murate in precedenza e poi riaperte nel restauro del 1914, rientrano nel progetto complessivo; sono infatti decorate con elementi architettonici e sulla superficie degli sguanci sono dipinte figure di Santi all’interno di edicole gotiche: nella finestra di sinistra san Giovanni Battista e sant’Antonio abate, nella finestra di destra santa Marta e santa Margherita. Lateralmente alle figure di questi santi e sante, sono ancora rappresentati a sinistra l’arcangelo Michele e a destra i santi vescovi Nicola e Martino. Al di sotto di questa fascia vi sono sette figure di re e profeti dell’Antico Testamento, impostati con una chiarezza prospettica inusuale per il tempo e rappresentati “con la forza di un fare scultoreo”. Di essi, che in origine erano otto, soltanto il re Davide è identificabile con sicurezza.
La decorazione sulla parete meridionale del presbiterio è disposta in modo molto diverso; infatti manca il coordinamento con l’architettura e nella parte superiore gli affreschi sono suddivisi in tre registri, mentre nella parte inferiore, la cui superficie è interrotta da un arcosolio e da due porte che introducono nella cappella adibita a sacrestia, è rappresentata un’unica scena. I tre registri superiori mostrano episodi della vita di sant’Antonio abate, nella quale hanno uno spazio rilevante le tentazioni del Santo; inferiormente, da destra verso sinistra, sono raffigurati una coppia inginocchiata con offerte, accanto alla quale si trova un bambino che porta un cero, e poi gruppi di pastori, anch’essi con offerte, che spingono davanti a sé capre e maiali: si tratta forse di una cerimonia in onore di sant’Antonio. Tra i registri superiori e la scena che si sviluppa inferiormente il restauro ha messo in luce tracce di affreschi precedenti. Nell’arcosolio è rappresentato Cristo che si erge dal sepolcro con accanto i simboli della passione, affresco di Jaquerio o di scuola jaqueriana, mentre i dipinti sulle lunette sovrastanti le due porte sono stati eseguiti nel Trecento.
La datazione della decorazione del presbiterio non è certa; secondo alcuni risalirebbe agli anni posteriori al 1429, data del ritorno definitivo di Jaquerio a Torino, mentre secondo altri, e questa è l’opinione più comunemente accettata, essa sarebbe da collocare nella seconda decade del XV secolo.
Un’ultima osservazione riguardo alla decorazione del presbiterio: manca qui, come nella cappella adibita a sacrestia, la rappresentazione della Crocifissione. Per giustificare questa assenza, si è ipotizzato che la Crocifissione fosse affrescata sulla parete terminale del presbiterio, demolita alla fine del secolo XV, mentre altri pensano che dovesse esistere una tavola con questo tema sull’altare della cappella, e congetturano che sulla parete distrutta fosse raffigurata una Natività, anche perché questa scena è al centro del polittico di Defendente Ferrari sull’altare maggiore.
Un’immagine della Crocifissione si trova nell’oratorio di Jean de Montchenu (il primo dei due cellerari con questo nome), l’affresco, attribuito a Jaquerio, rappresenta Cristo in croce fra quattro Santi, con il committente, lo stesso Jean de Montchenu, inginocchiato all’estremità sinistra.
Sulla volta della cappella adibita a sacrestia sono rappresentati i quattro Evangelisti, ognuno dei quali è identificabile grazie al simbolo che gli è proprio; sulla parete meridionale sono effigiati i santi Pietro e Paolo, mentre sulle altre tre pareti vi sono episodi della vita di Maria e di Gesù: sulla parete orientale l’Annunciazione, su quella settentrionale la Salita al Calvario, al di sopra dell’ingresso dalla navata la Preghiera nell’Orto degli Ulivi.
Nell’Annunciazione la Vergine e l’Angelo sono inseriti ai due lati di una finestra aperta nella parte superiore della parete, che è sovrastata da un arco a sesto acuto. L’atteggiamento delle due figure si adatta perfettamente al margine curvilineo della superficie che le contiene; esse hanno in comune con la Preghiera nell’Orto la resa coloristica e il trattamento del panneggio. È interessante il proposito di rendere la profondità spaziale mediante il tentativo di rappresentazione prospettica del sedile della Vergine e del pavimento su cui poggia l’Angelo.
La Preghiera nell’Orto è rappresentata secondo le convenzioni presenti in dipinti e miniature del tempo: Cristo si trova al centro della scena, che è spoglia e chiusa sullo sfondo da un traliccio di rami, come a sottolineare l’isolamento e la solitudine spirituale del protagonista.
L’Abbazia è situata a cavallo dei comuni di Rosta e Buttigliera Alta a pochi chilometri da Torino. Sulla strada statale del Moncenisio lungo il tratto tra Rivoli ed Avigliana da Torino, oltre Rivoli, al Km 19.5 della statale del Moncenisio in direzione di Avigliana.

redazione ToriNovoli  blog online di Ersilio Teifreto