Storia della Precettoria di Ranverso completa di Abbazia, convento e ospedale per i pellegrini che arrivavano da Canterbury attraversando la Francia

PRECETTORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

rilevatore Ersilio Teifreto

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

 PRECETORIA DI SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Il complesso monastico è situato nel comune di Buttigliera Alta, all’imbocco della Val Susa, ma parte della chiesa è nel territorio del confinante paese di Rosta. Si raggiunge percorrendo la S.S.25,

se si arriva da Rivoli, al Km 19 circa; al confine dei suddetti paesi, seguendo la nuova rotatoria e, svoltando a sinistra ci si immette in un viale alberato di alti platani, lungo circa duecentocinquanta metri, alla cui fine tra aiuole e piante, appare la magnifica Chiesa.  

Il suo toponimo deriva dal nome di Sant’Antonio abate, e Ranverso, un rio che  in passato scorreva nei pressi della Precettoria: – rivus Inversus -, da cui Ranverso, che oggi si identifica nella bealera di Rivoli. Il none Ranverso nei documenti ufficiali compare solo dopo il ‘300, antecedentemente la sua denominazione comune era Rinverso o Inverso.

Il complesso fu voluto e finanziato tra il 1185 e il 1188 da Umberto III di Savoia, e  affidato all'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, fondato da Gastone di Vienne nel Delfinato, dove nell’Abbazia del villaggio di La Motte Saint Didier, poi La Motte Saint’Antoine, erano custodite le spoglie di Sant’Antonio abate, provenienti da Costantinopoli.

Gastone per ringraziare il Santo a cui si era affidato per la guarigione del figlio affetto da ergotismo, comunemente denominato fuoco di Sant’Antonio, fondò “l’Ordine” con lo scopo di aiutare e curare i contagiati  da tale malattia. I suoi membri erano sia laici: medici e infermieri, che religiosi: monaci e sacerdoti.

Per questo motivo, alcuni di essi attraversarono le Alpi e si stabilirono nella località di Ranverso, per prestare cure ai malati del luogo, conforto religioso e ospitalità ai pellegrini diretti a Roma, capitale della cristianità.  

Successivamente le cure si estesero ai malati di lebbra e di peste, in caso di epidemie, molto frequenti nel medioevo.

Il Complesso sorge nei pressi di un ramo della Via Francigena, che dalla Francia conduceva a Roma attraverso i valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.

La divisa degli Antoniani consisteva in un saio nero, che all’altezza del cuore portava cucita in stoffa, il simbolo della lettera greca Tau, di colore azzurro, che, oltre a rappresentare la croce e la stampella dei malati, era sinonimo di vita e di miracolo. Essa era presente su tutti gli edifici a loro affidati: in ferro battuto sulle cime dei monumenti e sui pinnacoli, mentre era scolpito su colonne, capitelli, e dipinta a colori sulla facciata della chiesa e su alcune finestre delle cascine.

Era cucita sulle vesti degli infermi e persino marchiata a fuoco sulla groppa degli animali, in particolare su quella dei maiali, il cui grasso era l’unico rimedio conosciuto per lenire il dolore e curare le piaghe prodotte dall’ergotismo, e serviva a separare le parti infette da quelle sane.

Per questo motivo nelle iconografie il Santo viene sempre rappresentato con accanto un maialino.

Il primo nucleo di Ranverso era composto da una piccola chiesa con monastero, un campanile basso e un ospedale, che nei primi secoli dalla sua fondazione; dal dodicesimo al quindicesimo, subì numerose trasformazioni e ampliamenti, soprattutto la chiesa che, dopo aver assunto il suo aspetto definitivo, si presenta del tutto asimmetrica ed eterogenea, per la poco attenzione all’insieme dell’edificio da parte dei costruttori che si susseguivano nelle opere di ampliamento.

Alla chiesa di una sola navata, si aggiunsero quelle laterali, consistenti nelle cappelle, nella sacrestia e nel presbiterio terminante con un abside poligonale, mentre sul lato opposto fu aggiunto un portico a tre aperture, su cui poggia il coro d’inverno e la bellissima facciata in stile gotico lombardo.

L’abside, in stile gotico francese è caratterizzato da alti e robusti contrafforti terminanti con pinnacoli sormontati dal simbolo T (tau) in ferro battuto: Sulle pareti, delimitate dai contrafforti si aprono su ciascuna di esse una finestra monofora ogivale, incorniciata in cotto, con motivi floreali, e al di sopra di essa,  un rosone anch’esso decorato in cotto.

Lungo tutto il perimetro superiore della chiesa corre una modanatura in cotto ad archetti intrecciati.

Alla nuova facciata furono aggiunte ghimberghe in cotto decorate con formelle in terracotta create da artigiani piemontesi, ma prodotte in serie, i cui motivi si ripetono per tutta la loro lunghezza, e rappresentano i motivi tipici della vita contadina: grandi foglie, ghiande e frutti, come uva e pere.

Sulle cime delle ghimberghe si elevano pinnacoli in cotto lavorato, su cui svetta il simbolo tau in ferro battuto. Al centro della facciata, in alto, si apre un rosone a petali, in cotto, che crea all’interno un gioco di luce. Il pinnacolo della ghimberga centrale copre in parte il rosone, ed è spostato leggermente verso destra, per chi guarda, per non coprirlo del tutto, e permettere alla luce di filtrare all’interno. Ulteriore illuminazione è data da due lunghe finestre monofore, incorniciate da mattoni in cotto, che si aprono tra le ghimberghe. Al di sotto di esse si snoda una modanatura in cotto con decorazione ad archetti pensili che creano un piacevole motivo di raccordo tra la parte inferiore e quella superiore della facciata, dipinta con motivi geometrici a punta di diamante, policromi. Completano le decorazioni, due tau, alla cui base e sopra di esssa è raffigurato un fuoco ardente, è presente lo stemma di Amedeo di Savoia, svanito prima degli ultimi restauri. Al vertice della ghimberga centrale, in marmo vi è lo stemma con aquila del precettore Jean de Montchenuch, precettore di Ranverso dal 1470 che promosse molte migliorie e abbellimenti del complesso, compreso quello della nuova facciata.

Il portico sottostante la facciata è a tre luci con lunette affrescate, di cui due sono ancora leggibili, mentre la terza è andata perduta, è sorretto da pilastri da cui si dipartono le volte a crociera.

Nelle vele di quella mediana, sono ancora ben visibili gli affreschi che rappresentano la trasposizione del corpo di Sant’Antonio, su una nave, da Costantinopoli alle coste francesi, e uno dei suoi miracoli.

La lunetta sovrastante il portale centrale della chiesa è arricchita da un affresco che rappresenta la Madonna con Bambino tra Angeli e Santi.

Le colonne che reggono il portico sono in pietra verde, come i capitelli scolpiti che sorreggono, con motivi ricorrenti del medioevo: animali, mostri, volti maschili barbuti, forse monaci e volti femminili, che creano un vivace e contrastante effetto cromatico rispetto ai colori dominanti delle decorazioni in cotto.

Le tre navate della chiesa sono collegate tra loro da grandi archi ricavati nelle pareti, con altezza e lunghezza dissimili tra loro per i molteplici interventi di ampliamento succedutisi nei vari secoli.

Le volte a vela sono sostenute da colonne addossate alle pareti, dalle quali  si dipartono le crociere  alla cui convergenza troviamo decorazioni in cotto con simbologia religiosa, che rappresentano la storia della salvezza: dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.

Nel decoro della prima crociera è rappresentata la creazione del mondo con stelle chiare in un cerchio con sfondo rosso e nero. Il decoro della seconda crociera è un bassorilievo con un angelo che rappresenta l’incarnazione di Cristo. Nel terzo decoro, un agnello indica il Natale. Nel quarto  è presente una stella rossa su sfondo scuro che simboleggia la morte di Gesù. Nel successivo, la stella è su sfondo chiaro e indica la resurrezione.

Nell’abside il decoro alla confluenza delle crociere che rappresenta il sole è di fattura successiva, intorno al ‘700.

Sul pavimento del presbiterio è posta una pietra tombale da cui si accede ad un ossario. Su un secondo sigillo è effigiato il blasone di Bianchina dei conti Raspa che ne conserva i  resti. Essi furono i committenti di un grande affresco, opera di artisti di Scuola Vercellese del ‘400 che si trova sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella di sinistra, e rappresenta la Madonna con Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio, quest’ultimo presenta alla Madonna una nobildonna che dalla scritta sottostante ci indica che è Bianchina dei Conti Raspa 

Gli affreschi

La Chiesa presenta tracce di affreschi sin dai primi anni dalla sua costruzione, e con l’aumentare della sua importanza e per le dimensioni sempre maggiori che assumeva, i cicli pittorici venivano commissionati a pittori di prestigio che coprivano quelli precedenti: si distinguono quelli della Scuola Vercellese, e soprattutto, di grande rilevanza sono quelli di Giacomo Jaquerio, pittore piemontese del XV secolo, che ha operato in vari complessi monastici tra cui S, Antonio di Ranverso. E solo grazie alla firma scoperta nel presbiterio, durante alcuni lavori di restauro che si possono attribuire allo stesso, molti affreschi precedentemente attribuiti  a pittori del Nord Europa, mentre altri sono da attribuire alla sua scuola.

Tutti gli affreschi subirono danni più o meno gravi quando furono riportati alla luce, dopo che nella seconda metà del XVIII secolo furono ricoperti da uno scialbo in calce, operazione che veniva compiuta durante le epidemie di peste o altre malattie contagiose, per disinfettare gli ambienti  come le chiese o altri luoghi molto frequentati, per prevenire ulteriori contagi.

Gli affreschi furono liberati dal velo di calce, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, durante i lavori di restauro prima dal Prof. Botti che liberò gli affreschi della cappella di sinistra più vicina al presbiterio, e poi tutti gli altri dall’ingegnere Bertea, negli anni venti del ’900. I primi danni li subirono gli affreschi interessati dall’abbattimento di porzioni di muri per aprire gli archi che avrebbero collegato le costruende cappelle del lato nord della navata centrale e poi quelle del lato opposto. Il tema dei primi dipinti era rappresentato da stoffe lavorate con immagini di stelle e fiori.

Sull’altare della prima cappella di sinistra, un bassorilievo in stucco rappresenta S. Isidoro Agricoltore inginocchiato mentre prega, e un Angelo dirige l’aratro; sotto, una scritta in latino,  che tradotta dice: “Con il lavoro delle tue mani con le quali mangerai, sarai beato e il bene verrà a te.

In alto, sempre in stucco è rappresentata un’aquila.

Sul lato sinistro della navata centrale, sopra l’arcata della terza cappella vi sono affreschi del XIII secolo che rappresentano il Cristo Benedicente, il Presepio e i Santi Pietro e Paolo, quest’ultimi mutilati nella parte inferiore sempre per l’apertura degli archi. L’interno della terza cappella è affrescata da pittori del ’300 e del ’400, le cui opere vanno dall’Adorazione dei Magi, alla Presentazione di Gesù al Tempio, e all’Annunciazione. Ai margini di una finestra vi è l’immagine di S. Dionigi, di autore ignoto.

Poco più tardi della metà del XIV secolo sul lato sud fu edificata una nuova cappella adibita a sacrestia con volte a vela.

Sulla parete destra della navata centrale, in un affresco del XVII secolo vi è ritratto lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina. Sullo stesso lato, si apre l’unica cappella dedicata a S. Biagio, affrescata con scene della sua vita e alcuni suoi miracoli, nonché un medaglione con un probabile ritratto del pittore Jaquerio, i cui affreschi più significativi, che rappresentano l’arte piemontese, sono quelli che troviamo nel grande presbiterio e nella sacrestia. Nel primo, sulla parete sinistra, su un pilastro, tra due finestre è affrescata la Madonna in Trono con Bambino, ai lati figure di Santi e inginocchiato ai suoi piedi vi è l’abate che ha commissionato il dipinto. Nella parte inferiore, vi è una fascia con incorniciati sei riquadri, raffiguranti altrettanti profeti. Nella cornice di colore bianco che corre al di sopra dei riquadri dei Profeti, è stata trovata un’iscrizione in latino che attribuisce sicuramente al pittore piemontese la paternità dei dipinti; la traduzione recita: Questa cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio di Torino, e fu rinvenuta nel 1914 dopo aver rimosso i seggi in legno del coro del ’700, e lo strato di scialbo che la ricopriva. Sempre sul lato sinistro, vicino alla prima finestra, è rappresentato l’Arcangelo S. Michele, mentre nello spazio tra la seconda finestra e l’inizio dell’abside sono affrescate le figure di S. Nicola e S. Martino. Sui muri obliqui, ai lati delle finestre, sono dipinte le immagini di S. Giovanni Battista, S. Antonio abate e le Sante Maria e Margherita che imprigionano sotto i loro piedi un drago alato che simboleggia il diavolo.

Queste pitture sono sovrapposte ad altre del secolo precedente, delle quali si può leggere qualche tratto nella parte inferiore della parete, e rappresentano degli angeli con le ali spiegate che sorreggono una stoffa rossa sulla quale si possono distinguere in diversi colori, stelle e simboli riferiti a S. Antonio, come la tau, la fiamma e il campanello che annunciava il suo arrivo.

Sulla parete destra del presbiterio sono raffigurate vicende della vita del Santo, il Cristo con i simboli della passione e figure di contadini con animali. Nello stesso luogo si conserva una scultura  lignea policroma del Santo con ai suoi piedi contrariamente al solito un piccolo cinghiale.

 

 

La Sacrestia.

In essa sono concentrati gli affreschi, tra i più belli e significativi, che focalizzano lo sguardo, e invitano alla meditazione l’osservatore.

Sulla parete orientale, si distingue il grande affresco che narra la Salita al Calvario, dove l’artista esprime al massimo la sua arte, sia nella forma espressiva, che nei colori e nelle forme, mettendo in rilievo tutta la drammaticità dell’evento.

Sulla parete opposta, un altro affresco è riconosciuto come una tra le opere più significative di Jaquerio: le “Orazioni nell’Orto” in cui è rappresentato Cristo inginocchiato con espressione smarrita dinanzi ad un angelo che gli indica il cielo come unico motivo di consolazione, mentre accanto a Lui tre apostoli dormono, non riuscendo a comprendere il dramma che sta vivendo il loro maestro. Sui due fianchi della finestra è rappresentata “l’Annunciazione”, mentre nelle vele delle volte sono rappresentati i quattro Evangelisti: Matteo, Giovanni, Marco e Luca. Particolarmente espressivo è il volto di S. Giovanni Evangelista in atteggiamento mistico, pensoso e sognante, che riflettono probabilmente il carattere dell’autore.

Polittico di Defendente Ferrari.

È un’opera di grande valore artistico, consistente in una pala di grandi dimensioni posta sull’Altare Maggiore, del pittore Defendente Ferrari di Chivasso, facente parte della scuola vercellese del ‘500. Essa fu commissionata e donata dalla cittadinanza di Moncalieri a Ranverso, per aver liberato la popolazione dalla peste del 1530.

Nel dipinto centrale del polittico è rappresentata la Natività; nei quattro riquadri che la fiancheggiano troviamo le immagini dei Santi: a destra S. Antonio e S. Sebastiano e a sinistra S. Rocco e S. Bernardino da Siena. Il polittico è protetto da una teca a quattro ante dipinte sia all’interno che all’esterno. Sulla parte esterna in chiaroscuro, sono rappresentati alcuni episodi della vita della Vergine Maria, mentre all’interno, policromi sono rappresentati ritratti di santi.

Nello spazio sottostante i dipinti vi sono sette piccoli riquadri di varie dimensioni, in essi è narrata la vita di S. Antonio abate. Sul lato superiore della cornice in legno dorata che impreziosisce l’opera è scolpito lo stemma della città di Moncalieri.

Il polittico per molti secoli è stato attribuito a un pittore nordico: Alberto Durer; fino a che nell’’Ottocento, uno studioso, il frate barnabita Luigi Bruzza, non scoprì tra i documenti dell’ archivio di Moncalieri il “libro rosso” ove erano raccolti gli atti deliberati dalle autorità cittadine del tempo in cui tra essi vi era la commissione al pittore Defendente Ferrari di Chivaasso, di un polittico per l’altare maggiore della chiesa di Ranverso per la cifra di 800 Fiorini e 10 grassi di piccolo taglio, che era una moneta di Susa.

Altre pregevoli opere dell’artista sono presenti nella chiesa di S. Giovanni e nel santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana, in quella della Sacra di S. Michele e nel Duomo di San Giusto di Susa oltre che in varie chiese del Piemonte, musei nazionali ed esteri.

Il Chiostro.

Addossato al lato sud della chiesa si può ammirare l’unico lato porticato del chiostro costruito alla fine del XV e distrutto nel ’700. Esso è formato da un nartece con volte a crociere sorrette da robuste colonne in cotto, in stile romanico. Su lato ovest dell’ormai scomparso portico, al livello del suolo sono ancora visibili alcune celle del monastero, successivamente inglobato in un edificio a più .piani denominato palazzo priorale che nel tempo inglobò anche parte di una cascina.

Sul lato nord-ovest della chiesa, nel viale che porta all’ingresso laterale della stessa,  si erge su un masso erratico di origine glaciale, una colonnina ottagonale in granito, la  cui estremità superiore è scolpita a scudi recanti il simbolo tau. La colonnina terminava con una croce in marmo bianco che sulle  due facce, da una parte era scolpito un pellicano e sull’altra un colombo. Fu distrutta durante la discesa in Piemonte del generale francese Catinat alla fine del XVII secolo. Essa indicava ai pellegrini, che in quel luogo potevano trovare vitto, ricovero e luogo di preghiera, nonché cure mediche.

Sullo stesso lato nel secolo scorso sono stati creati giardini con aiuole, e piantati alberi di tiglio e platani, ora quasi secolari, che danno ombra e frescura alle panchine dove si possono vivere ore di pace e serenità, contemplando questo gioiello della cristianità.

Il Campanile

Esso fu soprelevato nel XIV secolo a quello originario di tre piani, con l’aggiunta di altri due.

I primi due piani sono illuminati solo da feritoie, mentre gli altri tre sono forniti di finestre "bifore" decorate in cotto. Al terzo piano oltre alle bifore aperte sul lato nord e ovest,  sul lato sud ed est sono collocati due orologi ormai in disuso. Gli ultimi due piani, essendo di un periodo successivo sono di fattura più fine, con bifore meglio rifinite. Le lunette sovrastanti sono  incorniciate in cotto lavorato e i due piani sono separati e abbelliti da archetti pensili. Al quarto piano, nelle lunette sovrastanti le bifore dei lati est, sud e ovest sono presenti decorazioni a forma di scodelle in cotto maiolicato, di cui una è conservata nel Museo Adriani di Cherasco.

Il campanile termina con una cuspide ottagonale, abbellita da quattro pinnacoli sempre in cotto lavorato, In cima alla cuspide svetta in ferro battuto, una banderuola segnavento raffigurante Sant'Antonio con un maialino ai suoi piedi.

L'ospedale.

Dell’ospedale rimane solo la facciata in stile gotico, anch’essa ricostruita dopo che un incendio  aveva distrutto l’ospedale originario, essa è composta da una porta principale centrale con decorazioni in cotto, sormontata da una ghimberga dello stesso stile, e con formelle con gli stessi motivi floreali  come quelli presenti sulla facciata della chiesa. Ai suoi lati vi sono due mensole sempre in cotto che dovevano sorreggere delle piccole statue. Sulla destra troviamo una porta più piccola, e sulla sinistra una finestra, anch’esse decorate con mattoni lavorati e formelle floreali.

Sul bordo superiore si notano ancora delle decorazioni geometriche di colore rosso e bianco, mentre sul cornicione svettano pinnacoli che terminano con la medesima lettera T (tau) in ferro battuto presente su tutte le costruzioni del complesso.

Osservando la parte inferiore delle due porte, si nota che esse non terminano con l’attuale piano stradale, ma vanno in profondità per circa mezzo metro al di sotto di esso; questo ci fa intuire che il piano stradale antico si sviluppava mezzo metro più in basso, e soprelevato a causa dei continui allagamenti dovuti ai fenomeni atmosferici.

Dopo aver ricoperto per vari secoli un ruolo determinante, ed essere stato punto di riferimento per il territorio, per i pellegrini e i malati; cominciò il suo lento declino venendo meno i motivi per cui fu fondata: la cura dei malati affetti da ergotismo, che era una intossicazione alimentare provocata da segala infetta, attaccata da un fungo, (hergot) che provocava gravi stati febbrili, allucinazioni e piaghe dolorosissime che si propagavano su tutto il corpo, che spesso portavano alla morte.

Tale malattia con la peste e la lebbra erano molto diffuse nel medioevo per le misere condizioni in cui versava il popolo e per la scarsissima igiene di cose ambienti. Col passare dei secoli le condizioni di vita miglioravano, con la conseguente diminuzione delle epidemie, rendendo, così, sempre meno utile la presenza del presidio ospedaliero, tanto che nel 1776 con Bolla papale, Pio VI sciolse l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, e i monaci confluirono nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che si occupavano anche della cura dei malati.

La Precettoria con tutti i suoi beni, compresi cascine e terreni fu affidata dallo stesso Papa,  all’Ordine dei Santi San Maurizio e San Lazzaro; Ordine Mauriziano che, venute meno le priorità ospedaliere, si dedicò al riordino e all’ammodernamento delle cascine, delle stalle, e allo  sfruttamento più razionale dei terreni agricoli.

I fabbricati tutti in muratura, furono addossati ai muri perimetrali, mentre la vita contadina e alcune fasi del lavoro si svolgevano nell’ampio spazio centrale, chiamato corte.

 Il nucleo principale delle cascine è situato In un ampio spazio, a sud della chiesa , denominate: Cascina di levante, Cascina di Mezzo e Cascina di Ponente. Mentre allo stesso livello della chiesa sul lato ovest della stessa, fu costruita la Cascina Bassa formata da un lungo fabbricato che comprendeva al centro le stalle e alle estremità, due alloggi per i contadini di cui solo quello situato ad Ovest è ancora abitato dall’unica famiglia che dà vita con la loro presenza e il loro lavoro di allevatori a questo luogo fuori dal tempo.

Le altre cascine e la grande aia tristemente vuote e in decadenza, sono in nell’attesa infinita che i grandi progetti di ristrutturazione paventati da tempo con alberghi, ristoranti negozi, vedano finalmente la luce, sempre nel rispetto dell’ambiente e dei monumenti.

L’area in cui sorgeva l’ospedale, o meglio, di quel che restava di esso, cioè la bella facciata in gotico fu trasformata in cascina denominata Ospedaletto.

Addossato al muro di cinta furono aggiunte pertinenze adibite a stalla, fienili, tettoie per il ricovero dei mezzi agricoli, e nello spazio che era occupato dall’ospedale, fu edificato un fabbricato colonico, sulla cui facciata che guarda a Sud ben visibile dall’esterno, si ammira una antica meridiana con una scritta, che tradotta in italiano dice: senza il sole io sono muta. Sulla stessa facciata, in alto, si leggono ancora due tau, mentre al piano terra,  in cotto, si intravedono i contorni delle vecchie aperture dell’edificio.

All’inizio dell’800, sul muro di cinta della cascina, all’esterno nell’angolo compreso tra lo spiazzo che guarda verso la chiesa, davanti agli attuali giardini e la via in ciottolato che si snoda verso Ovest è collocata una grande stadera atta alla pesa degli animali e ai prodotti della campagna. Agli inizi del ’900 sull’altro lato della facciata dell’ospedale che guarda a Ovest è stato addossato un fabbricato agricolo che ne deturpa l’insieme.

I restauri più importanti sono stati condotti tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, da Alfredo D’andrade, e promossi dal 1913 al 1923 da Paolo Boselli che diedero nuova vita e splendore alla precettoria. Grazie a questi restauri vennero alla luce gli affreschi prima descritti, fino ad allora coperti da una scialbatura intorno alla metà del’700.

Recentemente, negli anni '90 del Novecento L'Ordine Mauriziano ha intrapreso il restauro della facciata con il ripristino dei colori e i motivi pittorici geometrici presenti, ormai quasi completamente sbiaditi e rimesso in luce le due tau e lo stemma di Amedeo di Savoia del tutto scomparsi prima del restauro.

 Per mancanza di fondi i lavori non sono andati oltre. Si spera che in futuro si possa completare il restauro e godere appieno lo splendore di questo monumento molto importante per il periodo storico che rappresenta e per l’arte in esso contenuto.

Con grande disappunto dei visitatori, degli appassionati e studiosi  provenienti anche da paesi lontani la Precettoria è chiusa dagli inizi del 2015 per urgenti lavori di restauri e dopo più di sei mesi non è ancora  iniziato alcun lavoro. Si spera che al più presto tutto vada per il meglio e si possa nuovamente usufruire di un bene culturale e religioso quale è Sant’Antonio di Ranverso.

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