La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma passando dall’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso.

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I Templari in Terra di Puglia. Aspetti generali e storici

Storia della presenza templare in terra di Puglia. Dalle origini a Innocenzo III, fino al periodo angioino e al processo di Brindisi

di Vito Ricci

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Introduzione: aspetti generali

I Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone (Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis) ordine monastico-cavalleresco fondato in Terra Santa nel 1118 (o 1119) da Hugues de Payns(o Payens), nobile dello Champagne imparentato con i conti di Troyes, o da Ugo de’ Pagani, (come sostenuto da Domenico Rotundo in “Templari, misteri e cattedrali”) nobile dell’Italia meridionale originario di Nocera Inferiore, assieme ad altri otto cavalieri con lo scopo di proteggere i pellegrini, già dopo alcuni decenni dalla fondazione era presente in diverse regioni europee tra cui la Penisola italiana. Non si conosce con precisione quando l’Ordine del Tempio cominciò ad insediarsi nella nostra penisola: alcuni studiosi ritengono che il primo insediamento italiano fu a Messina nel 1131, altri nel 1138 a Roma presso S. Maria dell’Aventino, altri ancora a Milano a S. Maria del Tempio nel 1134. Dall’esame dei regesti diplomatici (cfr. Fulvio Bramato, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le Inquisizioni. Le Fonti., 1994 pag. 77) tuttavia emerge che nel 1130 la città di Ivrea assegnò ai cavalieri rossocrociati la chiesa di S. Nazario. Quindi sicuramente dopo il 1130, a circa dodici anni dalla costituzione, l’Ordine era già attivo in Italia. La prima testimonianza scritta che attesta la presenza dei Cavalieri nel regno di Sicilia risale al 1143 in una cronaca di Amando, diacono di Trani, che annota la partecipazione dei Templari ad una cerimonia religiosa.

La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma), quanto nelle regioni meridionali e, tra queste, un sicuro ruolo di preminenza fu svolto dalla Puglia per la posizione strategica occupata da questa regione da sempre crocevia tra Occidente ed Oriente. La causa dell’espansione dei Templari in Italia è da ricondurre a due motivazioni principali: la viabilità terrestre e la possibilità di adoperare i porti, in modo speciale quelli della costa pugliese (Manfredonia, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Brindisi), per l’imbarco verso la Terra Santa dei pellegrini e dei Crociati ed il loro rientro, nonché per la spedizione di vettovagliamento e derrate alimentari alle guarnigioni templari in Outremer. L’espansione dell’Ordine (tra la seconda metà del XII secolo sino alla fine del XIII secolo) avveniva secondo una logica ben precisa tendente a privilegiare in primo luogo le località costiere per poi procedere verso l’entroterra. Secondo una stima approssimata per difetto, in Italia erano presenti almeno 150 insediamenti appartenenti all’Ordine del Tempio, di questi meno di un terzo si trovavano nella parte meridionale della penisola.
La maggiore concentrazione di domus templari, molto probabilmente, era nella terra di Puglia ove, tra l’altro, aveva sede, presso S. Maria Maddalena a Barletta, il Maestro Provinciale da cui dipendevano tutte le case del Regno di Sicilia. Gli insediamenti dei Templari erano chiamati in Italia “precettorie” o “mansioni” a seconda della loro importanza, mentre in Francia prendevano il nome di “Commanderies”. Anche in Puglia l’espansione sul territorio delle case templari seguì la dinamica sopra esposta: dagli avamposti sul mar Adriatico i Templari cominciarono a penetrare all’interno del territorio pugliese e, in particolare, nelle fertili pianure della Capitanata nell’entroterra garganico e della Murgia in Terra di Bari.

Gli insediamenti

Cavalieri templari sovente alloggiavano in chiese minori, oratori, cappelle dipendenti da episcopi o cattedrali o in monasteri cui spesso erano annessi ospizi per l’accoglienza dei pellegrini. Grazie all’intervento dei pontefici il Tempio riusciva ad ottenere in concessione perpetua o temporanea immobili appartenenti ad Enti ecclesiastici dietro pagamento di un censo annuo. A volte erano gli stessi Templari a costruire delle chiese, anche se in Italia tale attività sembra essere alquanto ridotta. Ma è soprattutto alle donazioni e ai lasciti dei benefattori che il patrimonio templare vide una rapida crescita sia nelle città che nelle campagne. Le domus templari italiane raramente erano isolate e sovente facevano parte di ecclesiae, con le quali finivano per confondersi. Le domus erano anche costituite nell’ambito delle mansiones, composte nella forma più elementare da un ricovero per i viaggiatori ed una stalla per i cavalli. Le domus-mansiones erano collocate nei centri di transito o confluenza delle principali correnti di traffici e pellegrinaggi che percorrevano l’Italia. La funzione assistenziale era altresì svolta con le domus con annessi degli hospitales.

Caratteristica comune a tutti gli insediamenti urbani è la loro collocazione al di fuori della cinta muraria. Le precettorie a volte erano delle vere e proprie fortezze difese da torri e alte mura. Si trattava di complessi autosufficienti che comprendevano di norma: una cappella (in alcuni casi vi era una cappella ad uso esclusivo dei fratres ed un’altra aperta al pubblico), le scuderie, la selleria, le fucine, l’armeria, il mulino, la cantina, il forno, i depositi per conservare le derrate alimentari, l’infermeria e l’ospitale, il cimitero e il “vivarium” (pescheria) ove si allevavano pesci, molto consumati dai Templari durante i periodi di astinenza dalle carni precedenti il Natale e la Pasqua.

Nelle zone interne della Puglia sorgevano grandi casali e masserie appartenenti al Tempio con notevoli estensioni terriere che prendevano il nome di grancie o grangie. Spesso le terre venivano affidate a dei concessionari (conductores) che provvedevano a lavorarla dietro il pagamento di un canone d’affitto, mentre nelle comunità più numerose erano gli stessi cavalieri a dedicarsi all’attività agricola. Le colture più diffuse erano il frumento (soprattutto in Capitanata) e l’olivo (nella terra di Bari particolarmente rinomati erano le olive e l’olio della mansione di Molfetta come risulta da alcuni atti dell’epoca), non mancavano la vite, diffusa un po’ ovunque nella regione, e i legumi. Accanto alla coltivazione della terra era diffuso anche l’allevamento del bestiame: da carne, da latte e da lana. La Murgia offriva ricchi pascoli alle cospicue mandrie di buoi e bufali appartenenti al Tempio. La produzione agricola era destinata al consumo interno delle domus pugliesi; le eccedenze venivano vendute e una parte del ricavato era versato nelle casse della Sede Centrale sotto forma di responsiones. Nella seconda parte del XII sec. i cereali e i legumi pugliesi erano inviati agli insediamenti in Siria i quali, perdendo terreno a vantaggio dei Musulmani, divenivano sempre più dipendenti dall’Occidente per quanto riguardava i rifornimenti.

Con la fine delle Crociate e la disfatta dei regni latini in Terra Santa venne meno la finalità istitutiva dell’Ordine templare, ovvero la protezione dei pellegrini e la lotta agli infedeli. Tornati in Europa, i Milites Christi, che nel frattempo avevano accumulato un immenso patrimonio fondiario e godevano di notevoli benefici e privilegi accordati loro nel corso del tempo dalla Chiesa, cominciarono a dedicarsi ad attività amministrative e finanziarie, prestando somme di denaro considerevoli a sovrani e pontefici e a loro si deve l’invenzione della lettera di credito che facilitava il movimento dei capitali da una nazione all’altra. Nel giro di breve tempo l’Ordine dei monaci-guerrieri diventò una potenza politica ed economica tale da suscitare le invidie sia dei laici che degli ecclesiastici. Sarà proprio il potere accumulato dai Templari a determinare la persecuzione dei cavalieri da parte del re di Francia Filippo IV detto il Bello, bramoso di mettere mano sul tesoro templare, e la soppressione dell’Ordine decisa dal pontefice Clemente V (1312) con la bolla Vox clamantis in excelso durante il concilio di Vienne.

L’organizzazione

La struttura amministrativa dell’Ordine era articolata su un sistema a tre livelli tale da consentire un’amministrazione centralizzata e, al contempo, efficiente. Il livello più periferico e decentrato era costituito dalla Precettoria (Commanderie in Francia) o Convento o Commenda, a un livello intermedio vi era la Provincia, mentre la Sede Centrale dell’Ordine (prima in Terra Santa e poi nel quartiere del Tempio a Parigi dopo la perdita dei territori di Outremer) rappresentava il vertice della struttura.

L’unità di base dell’amministrazione era la Commenda, la cui creazione in una data zona era subordinata al possesso di proprietà da parte dei Templari in grado di consentirne l’esistenza e il mantenimento dei cavalieri. Ogni casa era retta da un ufficiale chiamato Commendatore (Commandeur in francese), Precettore o Priore (Praeceptor e Prior in latino), se era un Cavaliere (o in alcuni casi un Sergente), o Abate (in latino Abbas) se apparteneva alla classe dei Canonici, che aveva la responsabilità amministrativa dei beni della domus ed era anche il superiore della comunità; spesso i precettori erano coadiuvati da un claviger o camerarius, inoltre, secondo i costumieri templari, il superiore del convento era tenuto a consultare i confratelli: ciascuna settimana si teneva regolarmente un capitolo qualora i membri della comunità erano più di quattro. Tali assemblee svolgevano anche funzioni giudiziarie e potevano infliggere sanzioni disciplinari.

Le precettorie erano raggruppate costituendo le Provincie anche se, talvolta, nell’ambito provinciale vi erano ufficiali intermedi con autorità su un complesso di conventi. Le provincie in genere coincidevano con i regni e i principati. Al vertice di ciascuna Provincia vi era un Maestro Provinciale o Gran Precettore che nominava i superiori dei conventi e, nelle provincie occidentali, riceveva una parte delle rendite delle commanderie. I Maestri Provinciali erano nominati dalla Sede Centrale e svolgevano compiti essenzialmente amministrativi come autorizzare o ratificare la stipula degli atti di compravendita, ricevere donazioni, effettuare permute, intervenire presso l’autorità pontificia o il potere politico per la soluzione di questioni giuridiche, intervenire nella soluzione delle controversie tra le domus templari o tra queste e altri Enti religiosi o ecclesiastici, presiedere alla cerimonia di ricezione nell’ordine dei postulanti; con frequenza annuale si tenevano dei capitoli provinciali a cui prendevano parte i superiori dei conventi durante i quali si discutevano i problemi della Provincia e lo stato delle singole mansioni. Il Magister si faceva aiutare nel governo della Provincia da vicari, procuratores, missi e nunzi. Il controllo da parte delle autorità centrali sulle Provincie avveniva mediante visite canoniche, con l’invio di un ufficiale, detto Visitatore, in una o più sedi provinciali.

La direzione dell’Ordine, presso la Sede Centrale, spettava a un Gran Maestro eletto da una commissione di tredici fratres. Dalla fondazione (1118) all’arresto dei cavalieri (1307) si sono succeduti ventitré Gran Maestri, da Hugues de Payns (il primo) a Jacques de Molay (l’ultimo). Come tutti gli altri superiori anche il Gran Maestro era tenuto a consultare gli ufficiali principali dell’Ordine riuniti in un Convento Centrale. Altro organo di governo era il Capitolo Generale costituito dai confratelli indicati dalle provincie. Probabilmente tale assemblea generale dell’Ordine si riuniva una volta l’anno, nominava gli ufficiali più importanti e si ritiene che emanasse le modifiche alla Regola.

Per quanto riguarda la penisola italiana, essa era divisa in due unità amministrativo-territoriali: la parte centro-settentrionale e la Sardegna, detta provincia d’Italia o di Lombardia, e la parte meridionale, detta provincia di Apulia, che comprendeva tutto il regno di Sicilia, anche se alcuni storici ritengono che la Sicilia potesse costituire una provincia autonoma. Sino alla morte di Federico II, la Sicilia-Calabria ebbe una propria autonomia amministrativa e propri Maestri. A partire da Manfredi e sino a Carlo I d’Angiò le domus del Regno di Sicilia furono rette da un unico Gran Precettore di Apulia-Sicilia. Sicuramente, con la guerra del Vespro e con il passaggio della Sicilia agli Aragonesi (1282) l’isola cessò di dipendere dalla provincia di Apulia e il centro amministrativo dell’Ordine divenne Messina. Ciascuna provincia era retta da un Gran Precettore che aveva la propria dimora presso la casa madre della provincia. A S. Maria dell’Aventino (Roma) risiedevano i Maestri Provinciali della Lombardia, anche se, nel corso del tempo, questa domus perse d’importanza a vantaggio di quelle di Bologna e Piacenza; mentre a S. Maria Maddalena (Barletta) aveva la residenza il Gran Precettore dell’Apulia. Al di sopra dei Maestri Provinciali vi era un ufficiale responsabile per tutta la penisola chiamato Magister Totius Italiae. Come già detto, a volte esistevano funzionari di rango intermedio con giurisdizione su un insieme di conventi che non costituivano una provincia. In Italia queste unità territoriali più circoscritte erano: Ducato di Puglia, Terra di Lavoro, Terra Romae, Patrimonio del Beato Pietro in Tuscia, Ducato di Spoleto, Marca Anconitana e Marca Trevigiana. Nella provincia settentrionale i Gran Precettori, in particolare, e gli alti funzionari, in generale, provenivano dalla nobiltà locale, nel Regno di Sicilia c’era la prevalenza dei francesi, soprattutto dopo l’avvento della casa D’Angiò sul trono del Regno di Napoli. Due Maestri delle provincie meridionali divennero Gran Maestri dell’Ordine: Armand de Peragors (1232-44) che fu Magister della Sicilia-Calabria nel 1229 e Guillaume de Beaujeu (1273-91), Magister Apuliae nel 1271.

La comunità- tipo della domus templare italiana era di solito molto ristretta ed era guidata da un Praeceptor o Prior, più raramente da un Magister e/o Minister. Il Precettore attuava le disposizioni impartite dal Magister Provinciale e amministrava il patrimonio della domus. Presso le comunità più importanti il Precettore era affiancato da missi, priores e yconomi.

Nei primi anni di vita dell’Ordine non esisteva distinzione di classi tra i Templari e il termine miles era usato come sinonimo di frater; i chierici erano ammessi come cappellani. Successivamente i membri laici vennero divisi in due classi distinte: i milites (cavalieri) e i servientes (sergenti). I milites avevano ascendenza aristocratica, sovente si trattava dei figli cadetti dediti alla cavalleria secondo gli usi medioevali; mentre per diventare servientes era sufficiente essere uomini liberi. All’interno del gruppo dei servientes si distinguevano i frère des mestiers, che di solito non partecipavano ai combattimenti, e si dedicavano ai lavori all’interno della mansione; i servientes-rustici che erano di origine contadina e svolgevano mansioni bracciantili all’interno delle comunità templari, consentendo all’Ordine di coltivare e migliorare le proprie terre. La presenza dei servientes-rustici era collegata all’estensione del patrimonio da coltivare e alle colture praticate e fra le domus con il maggior numero di tali serventi vi erano quelle della Capitanata; i sergenti d’arme erano fratelli combattenti, distinti dai cavalieri per abito ed equipaggiamento. I cavalieri vestivano di bianco e portavano la croce patente rossa, i sergenti indossavano abiti scuri. Nel governo dell’Ordine prevaleva l’elemento cavalleresco e gli ufficiali più importanti erano milites, tuttavia in Occidente, ove i cavalieri erano pochi, i sergenti potevano assumere la carica di precettore. All’interno delle case templari spesso si trovavano uomini, noti come donati, che vivevano tra i fratres, condividendone la vita quotidiana, senza emettere i voti. Inoltre l’Ordine si avvaleva della collaborazione di servitori retribuiti.

Aspetti storici: dalle origini a Innocenzo III

Sicuramente i Templari cominciarono ad insediarsi a sud del Garigliano dopo il 1139, anno in cui fu raggiunta la pace tra il re normanno Ruggero II e il papa Innocenzo II.

La più antica testimonianza scritta sulla presenza dei Templari in Puglia (e anche in tutto il Regno di Sicilia) ci è offerta da Amando diacono di Trani e, dal 1153, vescovo di Bisceglie, nella sua Historia Traslationis Sancti Nicolai Peregrini (Storia della traslazione di San Nicola pellegrino) databile intorno al 1143. L’Autore riferisce di un avvenimento portentoso durante la cerimonia di traslazione del corpo del Santo: nel cielo completamente terso, all’improvviso, sulla Cattedrale si levarono due colonne di nuvole. Il diacono Amando asserisce la presenza dei cavalieri del Tempio alla processione scrivendo che: “Milites Templi Domini, qui paulo remotius ad urbe (Trani n.d.a.) distabant hoc cernentes dixerunt illud stupendum miraculum sacri corposis traslationem iudicare.” Questi sono gli unici elementi forniti da Amando sui Templari nella città di Trani; alcuni autori (Prologo prima, ripreso da Ronchi) ritengono che i Milites Templi già prima del 1143 dimoravamo in un edificio attiguo alla chiesa di Ognissanti al di fuori della cinta muraria tranese. La tradizione vuole che tale chiesa con l’annesso Ospedale e l’Abbazia fu costruito dagli stessi cavalieri rossocrociati intorno alla metà del XII. La presenza dei Templari nella città pugliese è da far risalire almeno al 1139 come può dedursi dall’esame di una lapide murata in prossimità dell’accesso secondario destro dell’ecclesia che reca la seguente iscrizione: “HIC REQUIESCIT COSTANTINUS ABBAS ET MEDICUS ORATE PRO ANIMA EIUS” (Qui riposa Costantino Abate e Medico pregate per la sua anima). Il Templare Costantino, medico e abate-rettore della domus tranese, apparteneva alla classe dei canonici; ebbene, solo dal 1139 con la Bolla PontificiaOmne datum optimum (con la quale, tra l’altro, si concedevano diversi privilegi all’Ordine) veniva istituita la figura dei Cappellani per il servizio religioso e liturgico nelle precettorie. Prima di tale Bolla i canonici prestavano servizio “per misericordia”, erano “distaccati” presso le domus e non appartenevano all’Ordine. Deve dedursi che la lapide funeraria è da datarsi dopo il 1139 e che, quindi, a quell’epoca i Templari erano già presenti a Trani. Da questa città l’ordine cavalleresco si diffuse gradualmente nelle zone limitrofe, raccogliendo elemosine e lasciti dei benefattori. Da un atto del marzo 1148 del primicerio Ungro di Leone a favore dell’Abbazia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni si apprende dell’esistenza di una «terra cum olivis fratum Templi» in località Vaditello di Molfetta. Nel 1157 il vescovo di Canne Giovanni assegnava ai Templari la chiesa di S. Maria de Saliniis. Il centro di espansione templare nell’Italia meridionale divenne Barletta: nel 1169 essi ricevettero da Bertrando (Vertrando), arcivescovo di Trani, la chiesa di S. Maria Maddalena destinata a diventare il centro amministrativo templare nella provincia di Apulia e sede del Maestro Provinciale. Probabilmente il primo di tali magister Apuliae fu Enrico, citato in un atto di vendita redatto a Minervino Murge (Ba) nel marzo 1169. Intorno alla metà del XII sec. i Templari realizzarono la chiesa di Ognissanti a Trani, nei pressi del già esistente ospedale, avvalendosi di qualche confraternita di costruttori e nel luglio del 1170 si videro donare delle proprietà fondiarie da Orso Rogadeo. Sempre intorno a questi anni si ha testimonianza di nuovi possedimenti nel territorio di Molfetta. Nel dicembre 1187, Giovanni Amerusius, regio barone e signore di Triggiano (Ba), lasciò ai Templari un calice d’argento, segno, dobbiamo desumere, di espansione nella parte più meridionale della Terra di Bari. Nel frattempo l’Ordine costituì diverse domus in Capitanata: a Foggia, a Salpi e a Troia. Nel nord barese si ebbero insediamenti ad Andria, Sovereto e Terlizzi. A Bari i cavalieri rossocrociati ottennero dal Cancellarius Alemannie la chiesa di San Clemente. In Terra d’Otranto i Templari si insediarono a Brindisi, Lecce, Oria e Otranto.

L’espansione templare si accentuò alla fine del XII sec. con l’avvento al soglio pontificio di Innocenzo III. Il nuovo papa si dimostrò particolarmente benevolo nei confronti dell’Ordine, anche non mancarono, n alcune circostanze, aspre critiche all’atteggiamento arrogante di alcuni Templari. Di fronte all’indifferenza dei sovrani europei a partecipare ad una nuova crociata, Innocenzo III contava sulla nobiltà feudale, sui pauperes, sugli ordini religiosi e soprattutto sui Templari per realizzare tale progetto. Alla vigilia della IV crociata, Innocenzo III intervenne dell’Ordine confermando la bolla Omne datum optimum e proteggendolo dagli attacchi del clero regolare. Il papa nel giugno del 1200 intervenne nella questione tra i Templari e la chiesa barese circa il possesso dell’ecclesia di San Clemente, attribuita ai cavalieri rossocrociati dal Cancellarius Alemannie, incoricando i vescovi di Conversano e Bitetto di convocare le parti, sentire le ragioni di ciascuna e risolvere la controversia secondo giustizia. Pur non avendo alcuna prova dell’esito del verdetto, la chiesa di San Clemente fu assegnata in modo definitivo ai Templari, visto che ancora apparteneva a costoro nel 1310.

All’inizio del XIII sec. si ebbe la costituzione di nuove precettorie a Ruvo di Puglia. Nel 1213 a Trani si riunì il Capitolo della Provincia di Apulia presieduto da Pietro di Ays, Maestro Privinciale, per risolvere una controversia tra la domus templare di Foggia e il monastero di San Leonardo di Valle Volaria.

Il periodo svevo

L’Ordine del Tempio nel regno di Sicilia trovò in Federico II di Svevia dapprima un atteggiamento d’indifferenza: il sovrano confermò i privilegi concessi da Onorio III e dai sui successori sul trono imperiale e su quello del regno di Sicilia. L’imperatore ebbe un rapporto privilegiato con l’Ordine di S. Maria di Gerusalemme (Ordine Teutonico) formato esclusivamente da cavalieri tedeschi, tanto che Hermann von Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, fu suo fidato consigliere. Federico II cominciò a mostrare aperta ostilità nei confronti dei cavalieri rossocrociati dal 1227 con l’elezione a pontefice di Gregorio IX che intendeva combattere l’egemonia del sovrano svevo nella penisola italiana. I Templari, schieratisi dalla parte del Papato, divennero oggetto di rappresaglia in Terra Santa. Con la scomunica da parte di Gregorio IX nei confronti di Federico II nel 1227 si ebbe una svolta (in senso negativo) nella storia dell’Ordine templare nella provincia di Apulia. L’imperatore ordinò ai Giustizieri del Regno di sequestrare i beni che i templari possedevano in contrasto con la legislazione sulla monomorta. Anche per tale motivo il papa reiterò la scomunica nel marzo 1228, pur tuttavia Federico II non tornò sui propri passi ribadendo le misure restrittive nei confronti dei cavalieri del tempio e nel luglio del 1228 Rogerio, precettore della domus di Foggia, e Giovanni da Barletta dovettero vendere due parti di un mulino in osservanza di un editto imperiale. Con la presa di Gerusalemme nell’estate 1228, i rapporti con i Templari precipitarono ulteriormente, accusando costoro persino di attentare in due occasioni alla vita del sovrano germanico, il quale proibì agli stessi di rientrare a Gerusalemme. Seguì una nuova spogliazione di beni dei Templari ( e degli Ospedalieri) a favore dei Teutonici che colpì particolarmente la Capitanata di cui abbiamo notizia nel Quaternus de excadenciis et revocatis redatto dal giudice Roberto di Aviano e dal notaio Tommaso di Avellino. Da tale fonte, come vedremo trattando delle domus della Capitanata, abbiamo la portata economica dei beni templari e delle relative rendite in questa zona. Negli ultimi anni di vita Federico II cercò di riappacificarsi con l’Ordine del Tempio senza tuttavia riuscirvi, salvo di disporre nel proprio testamento che la Curia Imperiale avrebbe dovuto restituire all’Ordine i beni ingiustamente sequestrati.

Morto Federico II, con Corrado i rapporti continuarono ad essere piuttosto tesi. Si allentarono con Manfredi, specie dopo l’ascesa in Sicilia della figlia Costanza formatasi nel clima cortese del Monferrato e sensibile alla causa templare. Dalla corte piemontese i templari Alberto e Guglielmo de Canelli seguirono la principessa in Sicilia. Il primo divenne Gran Precettore dell’Apulia ed entrò sotto la protezione di Manfredi che in un atto datato 22 marzo 1262 ordinava che il dignitario templare, nonché consanguineo et fidelismo, non venisse molestato assieme a tutto l’ordine templare nel Regno di Sicilia. Durante il periodo in cui Alberto de Canelli resse la Provincia di Apulia (1262-1266) i rapporti tra i Templari e Manfredi migliorarono notevolmente, tanto che il Maresciallo del Tempio Stefano de Sissy si rifiutò di eseguire l’ordine del papa di reclutare milizie contro il sovrano svevo e per questo venne scomunicato. Anche di fronte alla richiesta papale di intervenire per la riconquista della Sicilia i Templari risposero negativamente, al che Clemente IV invitò il legato apostolico nel Regno di Sicilia ad esigere la decima dai Templari nonostante ne fossero esentati dai tempi di Innocenzo II. Con la sconfitta di Manfredi a Benevento da parte di Carlo d’Angiò, Alberto de Canelli lasciò la provincia di Apulia.

Il periodo angioino

Dopo la parentesi del regno di Manfredi i rapporti tra i Templari dell’Apulia-Sicilia e il papato tornarono ad essere buoni con l’avvento degli Angioini nell’Italia Meridionale. L’Ordine del Tempio fu riammesso a godere pienamente dei possedimenti nel Regno di Sicilia che in precedenza gli erano stati sottratti. Esso si trovò sempre più legato al papa, bisognoso di mezzi finanziari per estinguere i debiti contratti per la guerra contro gli Svevi.

Il nuovo re di Sicilia Carlo I d’Angiò mostrò subito la sua benevolenza verso l’Ordine e il 24 giugno 1267 consentì a Baldovino «magistro Templariorum» di esportare dal porto di Bari «quadem victualia ad subsidium Terrae Sanctae vectigalia, quod ius exiturae dicitur, immunia». In diverse circostanze il sovrano Angioino concesse ai Templari di inviare derrate alimentari a San Giovanni d’Acri con facilitazioni e sgravi doganali in cambio dell’appoggio dell’Ordine rossocrociato. Si ha notizia di vari provvedimenti in tal senso relativi a spedizioni dai porti pugliesi: nel 1271 fu disposto dal re che Arnulfo de Ursemali potesse esportare dai porti pugliesi vettovaglie per Acri; nel gennaio del medesimo anno, a seguito delle richieste di Sabino magister della domus di Barletta, Carlo I ordinò al Portolano di Puglia Risone de Marra di soprassedere per quattro anni alla riscossione della balista (…spiegare cos’è) sulle spedizioni di vettovaglie templari per la Terra Santa e di non molestare la fondazione barlettana. Il 18 marzo il re ordinò al Secreto di Puglia di permettere ai Templari di esportare da qualsiasi porto della regione 6.000 salme di frumento e orzo per San Giovanni d’Acri. Il 4 maggio 1273 il sovrano angioino scrisse al Portolano di Barletta di acconsentire alle esportazioni templari dai porti pugliesi e il 22 gennaio 1274 al Portolano di Puglia Nicola Frecze, ordinando di far estrarre dai porti di Bari e Manfredonia frumento per Acri. Il 18 gennaio 1278 Carlo I dispose affinché Girardo, frater templare, potesse estrarre «de quocumque portu Apulia triginto salmas leguminen, elasque in Ungariam per mare deferenti».

Non meno benevolo del suo predecessore nei confronti dei Templari fu Carlo II. La curia angioina mostrò particolare attenzione verso la domus di S. Maria Maddalena di Barletta: intervenne presso un saraceno per indurlo a restituire ai Templari di Alberona, dipendente dalla domus barlettana, dei porci e del pollame; ordinò ai Giustizieri di Capitanata di non molestare i Templari di Barletta per il servizio militare nei fedi di Versentino, Alberona e Lama; intervenne presso il Capitano di Lucera affinché fosse garantito ai Templari il diritto di pascolo nel territorio di Tora vicino Alberona. Su richiesta di Rainando de Varensis, Gran Precettore di Apulia, ordinò agli Ufficiali del Regno di non molestare l’ordine cavalleresco. Il 27 febbraio 1303 Carlo II d’Angiò intervenne per la soluzione della causa relativa ad alcune masserie templari nel territorio di Lucera. Il 9 febbraio 1307 Roberto d’Angiò, reggente del Regno, su richieste del Gran Maestro Jacques de Molay, condonò ai Templari pugliesi alcune multe per aver inviato a Cipro navi onorarie senza la regia autorizzazione e consentì all’Ordine di non essere sottoposto al monopolio regio del sale potendo estrarre a tempo indeterminato 300 salme di sale annue dalle saline pugliesi.

Il declino dell’Ordine. Le Inquisizioni e il processo di Brindisi

All’inizio del XIV secolo l’Ordine del Tempio cominciò a subire un lento e inesorabile declino. Si ebbero dei dissidi con gli Ospitalieri e un progetto di fusione tra i due ordini non riuscì. Sono del 1305 le denunce di un tale Esquien de Floryan, priore di Montfoucon nella regione di Tolosa, che accusava l’Ordine di eresia, blasfemia e comportamenti lascivi. In particolare si imputava ai Templari di adorare un idolo barbuto chiamato Baphomet, di disprezzare la croce tanto da sputarci sopra e calpestarla, di praticare la sodomia, etc. Tutte queste accuse sembravano capitare ad hoc per le mire politiche ed economiche di Filippo IV “Il Bello” re di Francia, il quale, sull’orlo della bancarotta per i debiti accumulati, aveva messo gli occhi sull’immenso patrimonio dell’Ordine cavalleresco per risanare la propria situazione finanziaria. Facendo pressione prima su Bonifacio VIII e poi sul francese Clemente V(tra l’altro con la sede del papato trasferita ad Avignone) riuscì a scatenare l’Inquisizione contro i Templari in particolare in Francia, nei territori pontifici e nel Regno di Sicilia retto dagli Angioini imparentati con il re di Francia; mentre nella penisola iberica e in Scozia l’Ordine non subì alcuna persecuzione e conservò il proprio patrimonio, anzi esso continuo a sopravvivere cambiando nome, divenendo Ordine di Cristo in Portogallo e Ordine di Montesa in Spagna. Il 13 ottobre 1307, in sol giorno, per ordine del Gran Inquisitore di Francia, Guillaume Imbert, e del consigliere del re Guillaume de Nogaret vennero arrestati tutti i Templari d’Oltralpe. Seguirono processi e relative inquisizioni.

Nel Regno di Sicilia il vicario Roberto d’Angiò impartì ai suoi siniscalchi l’ordine di arresto dei Templari del regno e il sequestro dei beni dell’Ordine. Al Giustiziere della Terra di Bari fu ordinato di arrestare i Templari che fossero sbarcati a Barletta, mentre al Castellano di questa città fu affidata la custodia di un gruppo di cavalieri costituito da Michele Cersi, Oliviero di Bivona, Guglielmo Angelico, Bartolomeo e Andrea di Cosenza; Angelo di Brindisi, catturato in località Piczani (Picciano di Matera) il 12 marzo 1308, e Sfefano di Antiochia arrestato nella domus di Ruvo di Puglia. Il 27 febbraio 1308 Roberto comunicò al Giustiziere di Terra d’Otranto di procedere alla redazione di un inventario dei beni templari ; il 25 marzo ordinò lo stesso per i beni della domus barlettana.L’inquisizione contro i Templari nell’Italia meridionale ebbe inizio con l’invio dell’inquisitore Giacomo di Carapelle, canonico di S. Maria Maggiore di Roma (dicembre 1308) e successivamente di Guglielmo di S. Marcello (febbraio 1309). Parallelamente all’attività inquisitoria la Curia angioina provvide ed emanare atti relativi all’amministrazione dei beni templari posti sotto sequestro. Il 27 marzo del 1309 il re di Napoli ordinava ai procuratori dei beni templari in Capitanata Bartolomeo de Carbonaro di Salpi e Giacomo di Lucera di rifornire di legname la fabbrica della chiesa di S. Maria e di inviare 40 buoi e tutti i bufali per il trasporto, scegliendoli tra le bestie migliori delle mandrie sequestrati ai Templari. Nel maggio dello stesso anno venivano nominati altri procuratori per i beni dell’Ordine in Terra d’Otranto e, quasi contestualmente, fu ordinato ai giudici Angelo di Ruvo e ad Andrea di Donnaperna di Barletta di provvedere alla conservazione e alla vendita al miglior prezzo di pelli, cuoiami e lane ottenute dalle mandrie templari della domus di Barletta. Il 2 giugno 1309 Roberto d’Angiò diede l’ordine ai due giudici sopracitati di prelevare qualche somma di denaro dalle rendite della domus barlettana per spenderle a favore dei cavalieri prigionieri onde migliorarne le tristi condizioni.

Le uniche inquisizioni contro i Templari nel Regno di Napoli di cui si ha notizia storica ebbero luogo nella primavera del 1310 a Lucera e a Brindisi. L’inquisizione nella città della Capitanata iniziò nell’aprile del 1310 con testimoni Gerard de Bourgogne, che raccontò di essere stato obbligato a rinnegare la croce il giorno del suo ingresso nell’Ordine presso la domus di Torre Maggiore, e Galcerand de Teus (?) , il quale dichiarava di essere stato ricevuto nell’Ordine in Catalogna con riti “criminali” (rinnegamento della croce, bacio sull’ombelico, sodomia), ma la sua testimonianza appare in netto contrasto con quelle dei Templari iberici, tutti concordi nel difendere l’innocenza dell’Ordine. È da sospettare che tale testimonianza sia stata estorta con violenza, non si capisce altrimenti il perché un solo cavaliere della penisola spagnola abbia rivolto tali accuse.

Indubbiamente di maggiore portata fu il processo celebrato a Brindisi. Iniziato il 15 maggio del 1310, si concluse nel giugno dello stesso anno, presso la chiesa di S. Maria del Casale, sebbene è da sostenere che le inquisizioni si svolsero in qualche convento o edificio adiacente la cappella intitolata alla Madonna del Casale, dato che la struttura attuale della chiesa fu costruita, incorporando un’antica cappella preesistente, solo nel 1310 per volontà di Caterina di Valois principessa di Taranto. Il processo doveva essere presieduto dall’arcivescovo di Napoli Umberto che però non poté prendervi parte essendo impegnato nella consacrazione di Nicola, vescovo di Monopoli. Il suo posto fu preso da Bartolomeo, arcivescovo di Brindisi, che inaugurò il processo il processo ai Templari alla presenza degli inquisitori di Giacomo di Carapelle e Arnolfo Bataylle arcivescovo di Natzamia. Dopo la formula di rito, gli inquisitori citarono i cavalieri templari e il Gran Precettore di Puglia Oddone di Valdric affinché si presentassero davanti alla commissione. Nonostante l’affissione dei bandi di citazione nella cattedrale, nel castello e nella domus templare di San Giorgio solo due fratres si presentarono, molti Templari erano riusciti a fuggire o erano stati arrestati, trovandosi reclusi nei sotterranei dei castelli del regno (ad esempio nel castello di Barletta). I Templari furono dichiarati contumaci. Il 4 giugno la commissione inquisitoria tornò nel castello di Brindisi per interrogare gli unici cavalieri presentatisi: Ugo di Samaya e Giovanni da Neritone (Nardò), accolti non in qualità di accusati. Ma in quella di testimoni. Il primo ad essere interpellato fu fra’ Giovanni da Nardò, precettore della domus di Castrovillari in Calabria, il quale raccontò di essere stato ricevuto nell’Ordine l’anno successivo la caduta di S. Giovanni d’Acri (quindi nel 1292) presso la domus di Barletta nella sala del Pavilon in occasione della festività dei SS. Simeone e Giuda (28 ottobre) alla presenza del Magnus Praeceptor di Apulia Rainaldo di Varena. Il frate ricordando il suo ingresso nell’Ordine , affermò di essere stato più volte “invitato” a rinnegare e calpestare la croce; inoltre confermava che i Templari adoravano un gatto: infatti, mentre erano nella sala del Pavilon all’apparire di un gatto dal pelo grigio tutti i fratres si alzarono, si tolsero i cappucci, adorandolo. Fra’ Giovanni non avendo nulla in testa, fu costretto a chinare il capo in segno di rispetto. Riferì anche del bacio scandaloso sul ventre e di atti di sodomia. Il 5 giugno fu chiamato a deporre Ugo di Samaya, precettore della domus di S. Giorgio di Brindisi. Ugo raccontò di essere entrato nell’Ordine durante la festa di S. Giovanni Battista di un anno che non ricordava. La cerimonia di ingresso non aveva alcunché di immorale o sacrilego, né mai aveva sentito parlare di pratiche contrarie alla fede e alla religione. Successivamente, inviato a Cipro, nella mansione di Limassol, conobbe il frate Goffredo di Villaperos che gli chiese se al momento di entrare nell’Ordine aveva rinnegato la croce. Ugo rispose negativamente e alcuni mesi dopo lo stesso Goffredo assieme a 10 confratres di notte, dopo aver forzato la porta, si recò nella stanza di Ugo, tracciò una croce sul pavimento intimandogli di calpestarla. Frate Ugo, all’inizio cercò di opporsi, ma davanti alla minaccia dei militi armati fu costretto all’orribile atto di ripudio. Alla richiesta del motivo di tale gesto, frate Goffredo rispose che da tempo era una consuetudine dell’Ordine. Successivamente frate Ugo confessò l’episodio al frate minore Martino di Rupella che, per penitenza, gli ordinò il digiuno per dieci venerdì consecutivi e di fare elemosine. Al termine della deposizione di Ugo di Samaya, gli atti dell’inquisizione brindisina furono inviati al pontefice Clemente V per il Concilio di Vienne e il processo contro i Templari in tal modo si concluse.

Se le uniche perquisizioni a sud del Garigliano furono solo quelle di Brindisi e Lucera e il contenuto degli atti a noi pervenuto è veritiero appare chiaro come la Curia Angioina volle assumere una posizione di attesa e prudenza nei confronti dei Templari, limitandosi a provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni sequestrati. Roberto d’Angiò sembrò voler assecondare tanto il papa Clemente V (che tra l’altro doveva incoronarlo re di Napoli) tanto Filippo IV (imparentato con gli Angioini).

Durante il Concilio di Vienne il pontefice con la bolla Vox Clamantis in Excelso (3 aprile 1312) decretava la soppressione dell’Ordine del Tempio; mentre con la bolla Ad Provvidam (2 maggio 1312) si ebbe l’assegnazione dei beni templari agli Ospedalieri, ai quali finirono la maggior parte delle proprietà dell’Ordine in Italia meridionale; in alcuni casi i beni furono acquistati con frode o con violenza dai feudatari locali o finirono per accrescere il patrimonio di enti religiosi. I cavalieri Templari imprigionati nel 1307 poterono lasciare le carceri angioine: alcuni tornarono allo stato laicale, altri rimasero sacerdoti o cappellani nelle parrocchie; quelli maggiormente “compromessi” furono inviati in luoghi lontani o a combattere contro gli infedeli sotto i vessilli di altri Ordini Cavallereschi.

È interessante notare come dopo il rogo di Parigi (18 marzo 1314) in cui fu arso vivo l’ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, nel regno di Napoli esistevano ancore gruppi di Templari senza più un’organizzazione amministrativa e senza mezzi di sostentamento tanto che papa Giovanni XXII invitò i Frati Minori e i Domenicani a soccorrere e mantenere questi confratres. Ulteriori testimonianze della temporanea sopravvivenza dei Templari in Puglia almeno sino ci è fornita da un documento del 1332 dal quale si apprende che frate Giovanni, Abbas Sacri Templi Domini Jerosolimitani, dava in affitto una casa a Bari, mentre in un atto di permuta del 1394 ricordato un «frater Marinus (Martinus) ordinis Templi Ierosolimitani prior ecclesie Sancti Elie de Baro.»

Approfondimenti

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Links esterni (tra i siti segnalati)

Link esterno  I Templari a Barletta (Attinenza: 27%)
Link esterno  Edizioni L’Età dell’Acquario (Attinenza: 9%)
Link esterno  Ordre Souverain et Militaire du Temple de Jarusalem – G.P.L.I. (Attinenza: 9%)

Riferimenti Bibliografici

Riferimento bibliografico  F. Bramato – I Templari in terra di Bari. Rivista Nicolaus, 7/1979
Riferimento bibliografico  F. Bramato – Regesti diplomatici per la storia dei Templari in Italia Rivista Araldica 78/1980 pp. 38-48, 79/1981 pp. 39-52, 80/1982 pp. 121-127 e 154-158
Riferimento bibliografico  F. Bramato – L’Ordine dei Templari in Italia. Dalle origini a Innocenzo II (1135-1216). Rivista Nicolaus 12/1985
Riferimento bibliografico  F. Bramato – Introduzione alla storiografia dei Templari in Italia. Rivista Nicolaus 16/1989
Riferimento bibliografico  F. Bramato – Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Fondazioni, 1991
Riferimento bibliografico  F. Bramato – Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le inquisizioni. 1994
Riferimento bibliografico  B. Capone, L. Imperio, E. Valentini – Guida all’Italia dei Templari. Gli insediamenti templari in Italia, 1989
Riferimento bibliografico  B. Capone – Quando in Italia c’erano i Templari, 1981
Riferimento bibliografico  B. Capone – Vestigia templari In Italia, 1979
Riferimento bibliografico  B. Capone – Sulle tracce dei Templari, 1996
Riferimento bibliografico  D. Rotundo – Templari, Misteri e Cattedrali, 1983

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